Teologia: Francesco è meglio di Schmitt.

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di Marco Rizzi

Mario Tronti, senatore del Pd, è uno dei padri della sinistra radicale. Teorico dell’operaismo negli anni Sessanta, seppe cogliere il vicolo cieco in cui la sinistra extraparlamentare si era poi ritrovata, stretta tra lotta armata e irrilevanza istituzionale. Così passo al Pci e, a ridosso degli anni Ottanta, divenne protagonista, con Massimo Cacciari e altri, della rilettura «da sinistra» di Carl Schmitt, il giurista tedesco che negli anni Trenta aveva considerato la decisione sullo stato di eccezione come la forma più pura dell’agire politico — cosa che lo portò ad appoggiare Hitler, una volta al potere. L’analisi schmittiana si condensa nel concetto di teologia politica, ovvero nell’idea che i principali concetti politici non siano altro che trasposizioni di idee teologiche sul piano secolarizzato del diritto: ad esempio, l’onnipotenza di Dio si trasforma nel legislatore costituente e il miracolo, che sospende il corso delle leggi di natura, diviene lo «stato di eccezione», in cui viene revocato il diritto ordinario. Studiare la teologia significa, insomma, comprendere i meccanismi del potere. È evidente la fascinazione che simili idee potevano esercitare su quanti mal sopportano i limiti della democrazia formale e del riformismo. Da Schmitt era affascinato anche Walter Benjamin, da cui Tronti prende in prestito l’immagine che dà il titolo al libro Il nano e il manichino (Castelvecchi). Secondo Benjamin, il materialismo storico è come un automa, programmato per giocare a scacchi, che deve vincere ogni partita; ma può farlo solo perché al suo interno si nasconde un nano, brutto e gobbo, la teologia. Fuor di metafora, senza teologia, intesa come ciò che stabilisce il confine delle possibilità umane, la politica perde il suo fondamento ed è destinata alla crisi che oggi la sta distruggendo di fronte allo strapotere della tecnocrazia e della globalizzazione. Per questo Tronti dedica il libro, frutto di lezioni tenute all’Istituto di studi filosofici di Napoli nel 2010, «alle giovani generazioni, se ce ne saranno ancora, di intellettuali politici». Resta tuttavia il dubbio, di cui Tronti appare in parte consapevole, che tutto questo appartenga a un mondo, l’Europa del Novecento, ormai tramontato e che invece altrove, e in altri autori, vada ricercata l’ispirazione per una visione politica proiettata verso il futuro. Al momento, per trarre dalla teologia spunti per l’agire politico, è più che sufficiente papa Francesco.