Sul Piano Operativo in adozione al Consiglio comunale del 19 maggio 2020

intervento di Pierluigi Piccini

La procedura sfociata nella redazione del Piano Operativo (PO) da adottare insieme all’aggiornamento della variante del Piano Strutturale (PS) si presenta come una revisione del Documento elaborato dalla precedente amministrazione deliberato nell’agosto 2017: è ritenuto «sostanzialmente valido». Pertanto l’oggetto in discussione si è prefisso di rappresentarne «un approfondimento e uno sviluppo selettivo», un’integrazione, insomma, le cui finalità sono state precisate dalla nuova amministrazione nell’agosto del 2019. Non conviene ricordare le tappe del lungo itinerario compiuto e l’allungamento dei tempi prodotti.

Anche nel rispetto della legislazione regionale si è accettata un’inappropriata inversione logica. Il PO per sua natura dovrebbe organicamente prospettare una serie di realizzazioni da eseguire nel quinquennio a venire in coerenza con gli obiettivi del PS. Quanto meno il PS in revisione dovrebbe essere stato presente nelle consultazioni e nella stessa redazione del PO. Del resto la pianificazione territoriale e urbanistica, o quel che ne resta, è sempre inevitabilmente riflesso o interpretazione di atti e fatti precedenti. Il rischio è, altrimenti, sovraccaricare il PO di indicazioni non strettamente attinenti alla sua struttura, sottintendendo scelte strategiche fondamentali. Sarà quindi inevitabile in queste schematiche osservazioni svolgere argomentazioni – e riferirsi a temi – che investono i due strumenti e non ne ignorano altri contestuali, quali il VAS (Valutazione Ambientale Strategica) e PUMS ( Piano Urbano della Mobilità Sostenibile).

Il PO si concentra esclusivamente sull’ambito del Comune di Siena e procede alla necessaria riperimetrazione dello spazio urbanizzato non misurandosi con l’area vasta della cosiddetta Grande Siena, quale discendeva dallo SMaS (Schema Metropolitano area Senese). Ma dovrebbe essere ormai concorde convinzione che il futuro della città storica e delle sue propaggini è pensabile solo in un quadro non chiuso entro i confini consueti. La «città reale» si estende ben oltre e pur non affrontando formalmente gli spinosi problemi dei confini amministrati e/o delle modalità e metodologie di un governo concordato con i cinque Comuni contigui non può non essere il nucleo da considerare anche nel più largo contesto provinciale. Così come è apparso nel dibattito che si è sviluppato su iniziativa di Roberto Barzanti. Dibattito che ha visto la convergenza anche degli amministratori dei comuni contermini.

Proprio il dibattito scatenato dal contagio del virus Covid-19 ha portato alla ribalta impegnati confronti sul futuro delle città per spingerle ad interrogarsi sulla loro dimensione, sulle relazioni auspicabili, sul rapporto tra residenze e lavori, tra abitazioni e flussi turistici, sulle tecniche di costruzione, sulla gestione del patrimonio esistente e sulle sue modificazioni. Tematiche non inedite, spesso enunciate o evocate, ma oggi esplose e non aggirabili: è comprensibile che queste inquietanti e difficili domande non siano state trattate nel lavoro svolto con indubbia e attrezzata professionalità. Ma è corretto oggi chiedersi se non fosse stato preferibile aprire una fase nuova di approfondimenti che investono con pregnante urgenza città di medie dimensioni come Siena in vista della ripresa anziché proporsi di adottare in fretta quanto fin qui si è fissato in un imponente mole di analisi e indicazioni e risolvere in altro modo l’operatività edilizia che sembra essere, forse anche giustamente, la preoccupazione principale dell’amministrazione comunale.

Siamo di fronte ad un’alternativa: considerare il PO quale oggi uscirà dal dibattuto istituzionale un punto di approdo che chiude una lunga e travagliata fase o come un insieme di linee da sottoporre ad una vera revisione in modo da renderle attuali e confacenti al rinnovamento che ci è chiesto dalle trasformazioni da affrontare con inusitato coraggio. Nessuno rimprovera di non essere stati profeti, ma sarebbe miope non cogliere la dura occasione che gli avvenimenti hanno creato e rifiutare la logica degli aggiustamenti, affidandosi a soluzioni permissive e contingenti, talvolta minime e slegate da un programma iniziale di autentica innovazione.

Il documento politico-programmatico presentato nel gennaio 2019 si prefiggeva un’incentivazione dello sviluppo ed era molto critico verso il contenimento dell’uso di nuovo suolo. Optava per una certa autarchia di visione: era debole perché non propenso a rafforzare una razionale e qualificata coagulazione degli insediamenti e a conseguire un’effettiva sostenibilità. Conteneva i vizi e i limiti che sono emersi. Anche il ricorso alle nuove tecnologie era pressoché inesistente. Senza mitizzare la città-smart o la «città intelligente» è pigro illudersi che le strade da imboccare siano o destinazioni a finalità essenzialmente commerciali o di banale terziario oppure disegnare sulla carta grandiose opere, dispendiose e fantasiose, offrendole a improbabili appetiti di privati: opere non realizzabili o inutili, quali la galleria sotterranea Pescaia-viale Sclavo, la metropolitana leggera o mega-parcheggi che consentano un uso diverso (ma non troppo: parcheggio più esercizi di ristoro) dello spazio della ex-Sita, tanto per fare due esempi eloquenti. Ai quali si può aggiungere l’Area viale Toselli/Due ponti/viale Sardegna/stazione: dove sarebbe giusto condurre a compimento l’idea del Piano Secchi (1996), che, se portato avanti a frammenti, è destinato a non assumere la qualità desiderata: si tratta di una zona che può esprimere una grande energia. Si pensi all’insediamento dei mercati e dei macelli, che potrebbero essere riconvertiti in attrezzature culturali di pregio. I due interventi tanto caldeggiati quello della galleria e della metropolitana sono di fatto stralciati visti i costi e la scarsa efficacia. La metropolitana è addirittura diventata un troncone che dalla Stazione arriva a Isola d’Arbia con un costo di 35 milioni di euro e con una incidenza di costo che non raggiunge neppure gli indici minimi previsti dalla legislazione. Si conteggiano comunque i parcheggi collegati alla realizzazione della tramvia. L’argomento poi delle tecnologie applicate diventa dirimente per la gestione della mobilità e della città, basti pensare ad una categoria interpretativa che non è stata presa minimamente in considerazione: il distanziamento. Come è ancora accettabile un calcolo sui chilometri aggiuntivi necessari a mettere a regime i trasporti pubblici senza considerare il distanziamento che ne incrementerà la quantità o la dimensione e l’uso dei cosiddetti spazi pubblici. E non solo per la mobilità il digitale diventa una delle strategie vincenti finalizzato alla sicurezza, alla salute, al modello economico territoriale, alla cultura.

Nessuno dei più cospicui nodi strategici che investono il centro antico della città è coinvolto: né il Santa Maria della Scala e la disponibilità di spazi per lavori e servizi attinenti la produzione culturale, né il ruolo di “fabbriche” (come la ex-caserma santa Chiara) e altri grandi palazzi vuoti o dismessi, da sottoporre a “specifica normativa”. Le funzioni culturali in genere e la sistemazione congrua e attraente, produttiva, dei beni artistici sono pressoché taciute. Le priorità sulle quali tanto si insiste e a parole si dice di essere a favore non costituiscono un privilegiato filo conduttore. Circa il comparto Fortezza, Stadio, piazza Matteotti non si scrive parola, rassegandosi a farne un’area per effimere e ludiche divagazioni.

Tra gli obiettivi più rilevanti, scorrendo le tavole di cui si compone il PO soprattutto relativamente alle UTO (Unità Territoriali Omogenee Elementari), sono da segnalare alcuni impegni positivi: l’ampliamento del Policlinico va nel senso di rafforzare l’importanza dell’area bio-medicale; i due studentati nelle vicinanze dell’Università per Stranieri sono plausibili. E così l’ampliamento degli impianti sportivi dell’Acqua Calda o l’edificio scolastico a san Miniato. Per il resto un gran numero di rotatorie e parcheggi o soluzioni ingegnose di viabilità minore. Che non risolvono i problemi strutturali alcuni dei quali sono demandati alla volontà di altri comuni come Monteriggioni che non ha preso neppure in considerazione il problema e che non rientra nella metodologia fatta in premessa.  Solo per l’area di Cerchiaia il tema cruciale del rapporto residenzialità-lavoro è affrontato, a sostegno di attività artigianali. Ma con tempi incerti e lontanissimi. Ma non è il caso di dilungarsi su una documentazione che appare elencatoria e non strutturata secondo linee realistiche, tali da dar respiro e ubicazione congrua a fattori portanti.

Quanto alla residenzialità sembra sopravvalutato il numero delle nuove edificazioni e delle trasformazioni edilizie preventivate, nonché i frazionamenti consentiti.

Il dimensionamento della nuova edificazione ammonta a complessivi 174.370 mq di cui soli 57.600 di riuso pari al 33%, di SE e 21.200 mq di commercio al dettaglio. Per quanto riguarda la grande distribuzione non siamo in possesso delle quantità, ma da quanto emerso nelle riunioni delle commissioni abbiamo capito che dovrebbero essere diverse.

Tali esigenze nascono da una domanda effettiva verificata con indagini analitiche o sono il semplice frutto del trascinamento di vecchie previsioni mai realizzate? Non ci risulta essere stato fatto una proiezione statistica con una indagine demografica. Forse è sfuggito che le uniche due Nazioni che avranno un decremento demografico saranno nel 2050 l’Italia e la Germania rispettivamente con circa sei milioni in meno di abitanti la prima e otto la seconda. È stata fatta una analisi sull’invenduto a Siena? Il buon senso avrebbe anche qui consigliato di gettare un occhio a ciò che succederà a seguito del Covid-19, non solo in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, come possono essere attuali previsioni fatte 10, 15 anni fa? Le caratteristiche delle abitazioni non saranno più le stesse. Avete pensato alla rendita fondiaria a ciò che è già avvenuto e a ciò che con molta probabilità sta per avvenire? Il mercato ha delle logiche e una velocità che farà giustizia di molte previsioni soprattutto di quelle che incentivano la rendita come si cerca di fare con questa proposta di Piano.

È comprensibile che sia arduo immaginare interventi incisivi nel tessuto compatto del centro antico della città, ma è indispensabile individuare ogni possibile trasformazione che, nel rispetto delle forme acquisite, esalti la «città dei cittadini» (Gregotti) e combatta rendite di posizione o stravolgimenti indotti da una smodata invadenza turistica. Punto dolente quest’ultimo all’ordine del giorno nelle cosiddette città d’arte che avranno un futuro attraente solo se accoglieranno residenti e visitatori in un vitale incontro di sensibilità e collaborazioni. Le Contrade vanno aiutate per irrobustire e aprire una socializzazione stimolata dalla voglia di conoscenza e di generosa condivisione.

Circa gli interventi extra-moenia desta attenzione quanto si suggerisce per l’area di Taverne. È invece improprio affrontare la sistemazione di Isola d’Arbia – per toccare una situazione nota e assai controversa – in un’ottica commerciale o per insediarvi servizi ordinari. Da tempo circola l’idea di farne luogo attrezzato e moderno per usi sociali che possano dar senso – un centro di arte contemporanea? – anche all’ ingombrante torre dell’ex-IDIT. Elevare la qualità urbana di una città che non s’identifichi più solo nelle articolazioni storiche da salvaguardare (come del resto sancisce la nuova perimetrazione) ma alterni verde e edificato, manufatti e natura, deve essere l’intento dominante di un Piano Strutturale e del PO che la attui all’altezza delle esigenze espresse con insistenza.

Il PO che viene presentato è scritto al passato o desidera far credere che i guasti della gravissima crisi in corso siano qui superabili solo con un’effervescenza edificatoria a corto raggio: rimedio esile e inefficace, non via per la solida rinascita da intraprendere attirando investimenti non incidentali, né mossi da correnti speculative.

Il PO che ci viene sottoposto, se fosse stato integrato da passaggi non eludibili avrebbe potuto orientare in una fase di incerta transizione scelte che avrebbero guardato al futuro. Volontà che non ci sembra di cogliere dai comportamenti tenuti dalla maggioranza consiliare. Senza questa intenzione, ancora possibile, il Piano Operativo resterà un elaborato anacronistico, non fruttuoso per una ripresa di Siena commisurata alla potenzialità che può coltivare. Un elaborato che vuol chiudere una pratica fatta di autorizzazioni neppure tanto immediate, non una bussola che aiuti a tracciare nuove rotte, e disegnare una pianificazione urbanistica all’altezza della situazione.