Speranze fondate?

Mi hanno rimproverato di esser divenuto improvvisamente ottimista e fiducioso: «Ti è bastato – mi hanno detto – che il ministro Franceschini abbia annunciato che, finalmente, la Pinacoteca di Siena sarà ricompresa tra i 43 grandi musei autonomi di rilievo nazionale per farti saltare dalla soddisfazione». Effettivamente ho provato una soddisfazione grande. Del resto era una questione che avevo sollevato, insieme a tanti altri, da tempo. Anche “Per Siena”, gruppo sempre molto vigile sulle questioni del patrimonio artistico, ha spesso sottolineato l’assurdità di aver ricompreso la Galleria in un caotico elenco di decine di siti cui si è dato nome di Polo museale toscano, ora giustamente disfatto. È un chiodo su cui ho battuto in parecchie occasioni. Era uno scandalo che una Galleria essenziale per capire la nascita stessa della tradizione gotica in Italia e in Europa fosse stata relegata dalla discutibile riforma del 2014 in un mucchio di musei, magari degnissimi ma di spessore ben diverso. Quando un obiettivo giusto diventa concreto non bisogna guardare in faccia a colore di governi o a simpatie personali: è l’ora  che ogni istituzione si accolli la sua parte di responsabilità senza diffidenze o paralizzanti polemiche. Anzi mi sarei aspettato che la notizia avesse destato entusiasmo anche a livello istituzionale. Invece, se non sono male informato, mi pare che il sindaco al riguardo non abbia aperto bocca. Mi auguro che sia per distrazione e che il Comune abbia lavorato in silenzio perché questo risultato fosse conseguito. Ciò non impedisce affatto di essere molto critici su altri nodi, per così dire, di confine. Che Siena non abbia una sua Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio ma si trovi, insieme a Arezzo e Grosseto, con a capo una figura – un’architetta di alta e riconosciuta capacità – ad interim è inaccettabile. Certo: questo è un’altro problema. Fu già un errore accorpare Siena Arezzo e Grosseto sotto l’illuminata guida di Enzo Carli in un solo organismo. E l’errore si è aggravato ora che sono confluiti in un’unica Soprintendenza i problemi del paesaggio e dell’archeologia accanto alle Belle Arti. È buffo che sia stata ripescata una dizione così desueta, ma  lasciamo stare le parole. Siena Arezzo e Grosseto, che coincidevano geograficamente con una circoscrizione elettorale, sono tre centri che avrebbero dovuto  avere  ciascuno una sua struttura, dotata di personale adeguato nei loro settori di operatività . È un obiettivo per cui non smettere di lottare. Non valgono le scuse dell’inesistenza di personale del necessario grado. Si punta a soluzioni a effetto o a nomine transitorie invece di intervenire con provvedimenti definitivi. O si improvvisa in vista dell’impiego dei fondi provenienti dal  Recovery una Soprintendenza nazionale assumendo personale a termine e si sottovalutano le necessità di un efficiente funzionamento continuo. Le logiche emergenziali sopravvengono anche perché si sono trascurate le dotazioni quotidianamente indispensabili di mezzi e di persone. 

Ovviamente  il primo interrogativo da porsi, dopo aver apprezzato nel loro peso l’attribuzione di autonomia alla Pinacoteca e la posizione che oggettivamente merita, è che cosa può significare questo passo in rapporto al trasferimento della Pinacoteca stessa nel complesso del Santa Maria della Scala. Perché è vero: la tardiva promozione può essere o la solenne pietra tombale di un obiettivo che, variamente formulato, fu intuito oltre un secolo fa e rilanciato di recente da Cesare Brandi, da Giovani Previtali, e accolto convintamente dal Comune, dall’Università, dalla stessa Diocesi, o la premessa di un rilancio, con le revisioni opportune , di un progetto da strutturare  organicamente. Mentre all’altezza del 2000 il discorso avviato sembrava aver acquisito punti fermi anche con l’accordo intervenuto con il Ministero competente, poi si sono susseguiti alti (a parole)  e bassi che hanno vanificato tutto. Ogni Soprintendente aveva una sua idea da far valere. E il Comune non ha sfoderato l’energia e la continuità indispensabili. L’istituzione di una Fondazione che conferisca al Santa Maria una sua autonomia e ne faccia un Centro culturale polivalente è un passaggio da salutare con soddisfazione. Del resto già tentato. L’approvazione da parte del consiglio comunale dell’ordine del giorno presentato da “Per Siena” in merito alla delibera 56 /2021 fa ben sperare. Personalmente ho qualche riserva sull’inserimento nel Terzo Settore (ETS) della Fondazione di partecipazione, che avrei ritenuto – e ritengo – più coerentemente collegabile al MIC (Ministero per la Cultura). Non entro in dettagli. Essenziale è evitare logiche lottizzatrici e insediare una direzione all’altezza del rilievo internazionale da ottenere. Noto che il tema dell’inclusione della Pinacoteca, nell’estensione e nella rimodulazione critica scientificamente corretta non è neppure sfiorato. È comprensibile che non si sia scritto di tutto e non si siano ripetute intenzioni già più volte dettagliate. Ecco: le due buone notizie, su Pinacoteca e Fondazione Santa Maria possono configurare una complementarità di linee da attuare  gradualmente con un progetto che investa tutti i luoghi museali e monumentali, di ricerca e di produzione, dell’Acropoli. Solo se il Santa Maria sarà, oltre che museo di se stesso e della città, un luogo dove verrà esposto, studiato, evidenziato con cadenzate e appropriate iniziative un patrimonio stabile e permanente acquisterà un’identità autentica su scala internazionale. Se si vuol dar vita ad un’esperienza per certi aspetti innovatrice occorre preoccuparsi della sostanza del progetto e non solo della sua veste giuridica, da verificare con attenzione. Il progetto va visto come elemento motore in progress, cabina di regia di un sistema che formi rete con i piccoli e preziosi musei, con le tante realtà tipiche della nostra terra. Per un verso richiede un’ottica distrettuale, per l’altro una dimensione correlabile alla Grande Siena, ad una città larga che unisca campagna e tessuto urbano, mobilità facile tra le sue parti e razionalità dei servizi rari e comuni. Le città del domani non dovranno più separare privilegiati e delimitati centri “storici”, scaduti magari, di fatto, a spazi commerciali o consegnati a preponderanti usi di banale turismo.

L’ostilità pregiudiziale a coinvolgere privati e l’enfasi posta su un totalizzante ruolo pubblico nell’economia  culturale è parziale e illusoria. Non sono in sintonia, ad esempio, con la rigida impostazione di Tomaso Montanari. Sarà interessante proseguire anche con lui un dialogo fecondo:  non sloganistico, né demagogico.

                                                                 Roberto Barzanti