Riva Karnowsky è una atleta di successo provvista di un corpo talmente prestante da concederle di tuffarsi dai grattacieli con il plauso di un pubblico in festa. High-rise diving, questo ciò in cui è specializzata acquisendo contratti milionari e fan in tutto il mondo. Il dispositivo gloria-profitto sembra infallibile finché un giorno entra in crisi, è a questo punto che si apre il romanzo di Julia von Lucadou. La tuffatrice (Carbonio, pp. 247, euro 16.50, traduzione di Angela Ricci) si colloca tra gli esordi letterari più interessanti degli ultimi mesi, non solo perché a scriverlo è una giovane autrice tedesca che si è servita di elementi distopici misti a una ricerca linguistico-narrativa molto visiva che ben si presterebbe a una trasposizione cinematografica, bensì perché si concentra sulla complessità relazionale e psichica indotta dalla ipertecnologia nella sua intersezione con la sorveglianza.
In una società del controllo, i corpi sono la merce più prelibata: quello di Riva Karnovsky viene descritto come particolarmente ghiotto.
Il modo in cui le società capitaliste feticizzano il corpo umano e lo valutano in termini economici come produttività ottimizzante è qualcosa che mi interessa, così anche la bellezza, intesa rigidamente misurabile in un algoritmo. Riva incarna questa idea; oggi gli atleti non devono solo modellare il proprio corpo con macchine ad alto funzionamento, ma anche esibirsi al di fuori dell’arena. Devono agire secondo il proprio brand, nei loro account sui social, nelle loro interviste, persino nelle loro interazioni private. Ogni parte della loro vita può essere potenzialmente monetizzata e sorvegliata. Una volta ho letto un articolo a proposito del manuale delle cheerleader di Buffalo Bills che si spinge fino a dire loro quando cambiare il tampone e di cosa non parlare durante la cena.
Soggetto prestazionale, Riva deflagra su se stessa, si deprime accedendo a una zona inedita, perlustrata da Hitomi Yoshida, psicologa che ne osserva a distanza i sintomi.
Hitomi è stata assunta per capire esattamente questo: cosa è successo a Riva, perché recita quando ha avuto tanto successo, avrebbe potuto semplicemente rifiutare la fama e il privilegio di cui gli altri la invidiano? La risposta non è chiara e ha molti livelli. La decisione di Riva è il risultato di un lento e strisciante processo di inquietudine, di una graduale messa in discussione dei valori sociali e personali. Una volta si immergeva con felicità in ciò che faceva.
Anche il personaggio di Hitomi soffre di iperlavoro, obblighi quasi marziali, eppure, a differenza di Riva, cerca un contatto con ciò che è stata. Il suo dialogo immaginario con lei, sia diurno che notturno, è una delle cifre più riuscite del libro.
Riva e Hitomi hanno molto in comune. Sono entrambe donne motivate, forti e intelligenti. Provano disagio straniante all’interno dei propri corpi che potrebbe avere a che fare con la società della performance in cui vivono. Ma appunto reagiscono in modo antitetico. Hitomi cerca di sbarazzarsi di quell’imbarazzo esercitandosi, aggrappandosi alle regole ancora più duramente. Cerca di riguadagnare un senso di controllo perquisendo ogni aspetto della propria vita e degli altri. Riva, d’altra parte, è disposta a lasciar andare questa parvenza di stabilità e provare alternative. Osservarla giorno dopo giorno e approfondire i suoi pensieri attraverso la verifica incrociata dei dati personali, ha sicuramente un effetto su Hitomi.
Il movimento dell’osservazione diventa anch’esso un’ossessione. Qual è il legame tra sorveglianza e voyeurismo?
È parte integrante del mio romanzo. Spesso associamo il voyeurismo alle preferenze e perversioni sessuali, ma è molto più di questo. Il voyeur ha una posizione di potere, penso ai contributi sul tema di Laura Mulvey. Spiare, osservare qualcuno che non sa di esserlo lo spoglia violentemente della propria privacy. Una volta esposto, non è possibile annullare tale violazione. Quando i tuoi dati personali sono stati resi pubblici, non puoi recuperarli. Dispositivi digitali come i nostri telefoni accedono al nostro spazio privato in modo semplice e discreto, spesso senza il nostro consenso deliberato. I dati raccolti mettono le aziende – e in alcuni casi anche i governi – in una posizione di potere da cui possono manipolare e controllare il comportamento.
Ci sono molti passaggi temporali nel suo romanzo, non solo perché racconta di un futuro indesiderabile ma anche perché indaga la qualità dell’infanzia deprivata delle due protagoniste.
Non possiamo sfuggire all’enorme corredo della nostra infanzia, chi ha subito un trauma può testimoniarlo. Ciò significa anche che il modo in cui trattiamo l’infanzia è vitale per il tipo di società che immaginiamo praticabile. Se sottoponiamo i bambini a questa dittatura della prestazione competitiva, come Riva e soprattutto Hitomi insegnano, è molto difficile fare marcia indietro. L’educazione ricevuta da Hitomi da piccola, il suo percorso, rappresenta elemento cruciale per introdurre altri incontri e altri modi del vivere un tempo importanti e poi dimenticati. Andorra, la sua amica dallo spirito libero, sia pure in assenza resta impressa nella sua memoria.
Sembra un tema secondario ma la relazione materna è invece richiamata più volte. C’è una intimità di cui non ci si ricorda bene ma che è presente. È una nostalgia di calore?
Ne hanno un disperato bisogno, desiderano la connessione umana. La relazione materna originaria, che nel romanzo non esiste più, ne è un simbolo. I personaggi sono affamati di intimità perché vivono in un mondo in cui i rapporti sono ridotti al loro valore economico. Si potrebbe forse paragonarlo ai social media oggi dove gli influencer fanno più soldi in proporzione ai consensi relazionali che costruiscono. Quando stai cercando di esibirti senza commettere errori, al pari di una macchina come accade a Hitomi, emozioni forti come l’amore o la lussuria sono viste come un impedimento. Ciò rende la vita abbastanza solitaria. Hitomi è completamente isolata e quando ha questa brama di contatto si punisce perché la considera una debolezza.
«Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso». Lo scriveva Guy Debord a proposito della sua «Società dello spettacolo», potrebbe essere una perfetta epigrafe al suo romanzo.
Mettere in discussione il capitalismo e gli elementi che ne costituiscono il sistema è per me anche un’analisi del grado soggettivo di conformazione. Sul vero e sul falso basterebbe forse pensare a come funziona Instagram e ad alcune esibizioni fasulle di autenticità. Più in generale, alle persone viene promessa stabilità attraverso il controllo completo, in realtà ciò le rende molto più vulnerabili alla manipolazione e quindi molto meno sicure e meno libere.
Penso sia lecito, oltre che umano, essere ingannati talvolta. Crediamo in ciò che ci viene raccontato nella misura in cui risulta estenuante decidere tutto per noi stessi, mettere in discussione e sondare ogni bit di informazione. La fede ci libera dalla responsabilità come il consumo ha a che vedere con il piacere. Eppure se ci abituiamo a quel falso conforto e quella passività, potremmo essere facilmente circuibili.
Parliamo dell’immagine del tuffo. È interessante perché ci si getta nel vuoto sfidando il pericolo e il rischio e non badando alle conseguenze. Come se ogni cosa fosse a disposizione. Crede che possa aiutare una riflessione sul concetto di limite, soprattutto in questo presente?
Per me, l’immagine del grattacielo incarna la complessità e la contraddizione dell’esistenza umana. Possiamo considerare la tuffatrice una donna forte, audace nell’affrontare le proprie paure, un simbolo di libertà. Ma possiamo anche vederla come segno del contrario: una persona che si occupa e beneficia di un sistema oppressivo che valorizza l’azzardo, il comportamento ad alto rischio rispetto alla responsabilità. Entrambe le affermazioni sono vere. Ed è molto difficile distinguere il confine in cui una diventa più veritiera dell’altra. Dobbiamo continuare a rivalutare questi confini, interrogarli, proseguire e imparare dalle nostre esperienze passate e non fermarci a risposte facili. Penso a chi in questo momento sta diffondendo teorie della cospirazione e del complotto non considerando lo spessore complesso di concetti come la libertà e la responsabilità.