Romanzi «Mara» (Ponte alle Grazie) è il ritratto di una donna che non si fa ingabbiare negli stereotipi. Nemmeno dal regime
Ritanna Armeni racconta il percorso di emancipazione di una ragazza del Ventennio
di Pierluigi Battista
Mara di Ritanna Armeni (pubblicato in questi giorni da Ponte alle Grazie) è il ritratto di una donna del Novecento, di una ragazza che cresce e trova un suo peculiare, contrastato ma poderoso percorso di emancipazione negli anni del fascismo. O meglio, più precisamente: Mara è una ragazza fascista che vuole scappare dal recinto angusto della subalternità e della sottomissione, aderendo entusiasticamente a un regime che certo vuole le donne confinate in un ruolo subalterno eppure, paradossalmente ma non del tutto, ne promuove, o almeno ne asseconda, l’emancipazione. Il ritratto che Ritanna Armeni disegna attorno a Mara è infatti la dimostrazione che la storia si muove lungo itinerari tortuosi, irti di contraddizioni, ricchi di chiaroscuri, di zone d’ombra, di esiti imprevedibili. È il ritratto di una persona descritta e narrata nella sua pienezza esistenziale, che non si lascia ingabbiare in stereotipi, visioni manichee, contrapposizioni pietrificate.
Mara è la personificazione di una donna del Novecento, appunto. Ma il Novecento comprende anche il ventennio fascista, di cui qui non viene data un’immagine edulcorata e rosea, ma che pure, sul piano dei comportamenti e delle aspettative di una vita migliore, non può essere liquidato come una parentesi di pura negatività nella storia di una mentalità che cambia, nello stile di vita che lungo tutto il secolo subisce modificazioni profonde, oltre e al di là i confini storiograficamente rigidi dei regimi politici.
Il romanzo di Ritanna Armeni si articola in tre parti: la «speranza» che comprende gli anni tra il 1933 e il 1938; il «dubbio» tra il 1938 e il 1943 e la «fine» tra il 1943 e il 1945. Ma non si tratta di partizioni cristallizzate, perché il flusso di crescita e di delusione, di emancipazione e di disincanto scorre nel personaggio di Mara abbattendo barriere temporali e programmi politici. Il fascismo, nelle sue espressioni ufficiali, nella sua retorica pubblica, voleva limitare e umiliare la libertà femminile, le ambizioni di libertà di Mara, e anche della sua amica Nadia che sarà così fieramente fascista da finire i suoi giorni nei reparti della Repubblica Sociale, e infine giustiziata dai partigiani della «parte giusta». Però le gare ginniche, con indosso le camicette bianche stirate, i pantaloni corti e le scarpe lucide rendono il sabato un’occasione ogni volta speciale ed elettrizzante, un’uscita dalla routine destinata a mortificare la vita di una ragazza del Novecento che vive in regime fascista.
Il fascismo declama, impone, traccia le linee di condotta, anche estetiche, che la donna fascista deve seguire, ma le ragazze si ribellano in silenzio, sono riottose. Il regime a un certo punto si preoccupa delle donne che si esibiscono in esercizi ginnici e sportivi e persino ai vertici del Comitato olimpico si dice che «deve essere evitato quanto possa distogliere la donna dalla sua missione fondamentale: la maternità» e inoltre il canone estetico femminile prevedeva che le donne italiane dovessero essere «robuste e con i fianchi larghi», ma poi la vittoria di Ondina Valla alle Olimpiadi del 1936 fa cambiare idea al regime, le ragazze cominciano a vedere nello sport uno strumento formidabile di emancipazione e la Mara del romanzo di Ritanna Armeni è commossa e trascinata dall’impresa di Ondina, identificandosi in questa nuova eroina dell’emancipazione.
Disobbedienza
Il sistema traccia le linee di condotta che la donna deve seguire, ma le ragazze si ribellano in silenzio
Le donne e le ragazze fasciste sono riluttanti, oppongono una resistenza silenziosa agli imperativi del regime. Con la riforma Gentile della scuola nasce un liceo femminile per evitare l’affollamento di donne nelle «palestre severe per i futuri capi», ma già nel 1928 il liceo femminile, in mancanza di iscrizioni, chiude i battenti. Le donne leggono, al cinema scoprono nuovi modelli di libertà e di liberazione femminile ed è impossibile imporre l’autarchia sui modelli estetici e comportamentali. Il regime fa di tutto per aumentare le nascite allo scopo di dare figli alla Patria fascista. Crea l’Opera nazionale maternità e infanzia che prevede assegni, agevolazioni fiscali per le famiglie numerose, permessi obbligatori per l’allattamento, ricompense alle madri con più di sette figli, eppure, scrive la Armeni, «gli sforzi del regime non convincono, nel 1939 nascono in Italia 23,4 bambini ogni mille abitanti. Dieci anni prima ne nascevano 28».
La condizione della donna soffriva di uno stato di subalternità anche quando il fascismo non era nemmeno alle porte. Fino al 1919, per dire, c’era «bisogno dell’autorizzazione maschile anche per vendere un bene di proprietà». E anche negli anni Trenta, in quell’età del fascismo che Renzo De Felice ha chiamato «gli anni del consenso», il salario delle donne era, a parità di mansione, la metà di quello maschile (ma oggi è cambiato molto?) e, tra gli altri soprusi, le donne non potevano insegnare italiano, lettere classiche e filosofia nelle scuole superiori. Ma il percorso di emancipazione di Mara e delle altre, mentre incombe la tragedia delle leggi razziali, delle devastazioni della guerra, delle crudeltà della guerra civile, continua la sua marcia accidentata nelle pieghe della società e della mentalità dominante.
Le ragazze leggono libri dove sono delineati i tratti di un mondo diverso e meno asfissiante, escono di casa, tengono segretamente diari e quaderni dove, riflettendo sulla propria vita, imparano a conoscere la propria interiorità e ad acquistare una consapevolezza più sicura di se stesse, praticano ruoli un tempo appannaggio esclusivo dei maschi.
Il romanzo di Ritanna Armeni ci insegna ad abbandonare «luoghi comuni» e «certezze costituite» restituendo al capitolo delle donne che sono cresciute con il fascismo uno spessore sinora negato nelle concezioni diffuse e nella cultura condivisa. «Un’intera generazione di donne, le nostre madri, le nostre nonne», scrive Armeni, viene ricondotta in queste pagine a una visibilità pubblica che per pudore e pregiudizio è stata silenziata o cancellata. Nella storia di Mara questa storia ritorna, con altri punti di vista, altre esperienze, altri linguaggi. Il Novecento delle donne italiane non è fatto a spicchi, ed è questo intero, questa storia non fatta a pezzi, la matrice da cui tutti, e tutte, veniamo.