Sindaci e categorie economiche in rivolta contro gli aumenti Tari

Artigiani, industriali e commercianti dicono no al piano dell’Ato E anche qualche Comune

di Alessandro Di Maria

Categorie economiche sul piede di guerra, Comuni che non ci stanno. Il rischio di possibili ulteriori aumenti della Tari, oltre ai rincari già previsti di circa il 6,6%, non solo per il 2022 ma anche per gli anni successivi, sta facendo molto rumore. In un periodo in cui gli aumenti di prezzi di certo non mancano, questo ulteriore possibile balzello sulla tassa dei rifiuti potrebbe rappresentare un problema davvero grande sia per le famiglie, o comunque il singolo cittadino, ma anche per le imprese. «Noi siamo sotto una pioggia di aumenti — spiega Giancarlo Carniani, vice presidente di Confindustria Firenze con delega al turismo — diventa difficile commentare una cosa del genere. Capisco che l’amministrazione comunale sia in difficoltà, ma per il mio comparto la Tari è già molto pesante, lo è stato anche durante il lockdown nonostante gli sconti. Per noi sarebbe difficilmente ricevibile un aumento. Non si può sempre riversare tutto sul cliente finale, altrimenti l’inflazione non si sa dove potrà arrivare. Bisogna che il governo aiuti i Comuni, di cui comunque capisco le difficoltà».
Toni e concetti non molto dissimili arrivano anche da Confcommercio: « A oggi i Comuni non ci hanno chiamato a discutere della Tari e abbiamo comunque il timore che alcuni possano aumentare il costo per le imprese già dal 2022 — aggiunge il direttore regionale Franco Marinoni — aumenti che a nostro avviso non sono proponibili considerando che l’emergenza economica e sociale non è terminata e mai come adesso dobbiamo riuscire a tenere insieme imprese e lavoro » . Dura anche la posizione di Confesercenti, che non risparmia critiche: « Speriamo davvero che il rischio di un aumento della Tari paventato sulle pagine diRepubblica non si tramuti in realtà: non solo verrebbero meno le “ promesse” dei giorni scorsi con la costituzione della nuova multiutility dei servizi, ma, oltre a ciò, le imprese, già strozzate sul fronte energetico, non potrebbero certo sopportare nuovi aumenti, anche se spalmati nel tempo » . Infine Cna che dice basta ad aumenti indiscriminati: « Se è inconcepibile che ad oggi, sfruttando il meccanismo deiconguagli, ancora non siano state rese note le tariffe 2022 della Tari, con una irrispettosa noncuranza di chi deve dirigere imprese ( che danno lavoro e occupazione nell’area anche in questo tempo di crisi), e di chi deve guardare al budget familiare — dice il presidente di Firenze Metropolitana Giacomo Cioni — è del tutto improponibile proporre forti aumenti, addirittura fino al 2026. Non solo improponibile, ma obiettivamente inaccettabile sia da parte delle imprese, che delle famiglie. Adesso basta, la misura è colma».
E se le categorie non ci stanno, pressioni arrivano anche da alcuniComuni e dal mondo della politica. Comuni che comunque non si sbilanciano sul voto del Pef ( il Piano economico e finanziario) da approvare entro la fine di maggio e puntano invece il dito sulla mancanza di un termovalorizzatore: « Il discorso è come verranno giustificati da Ato e da Alia questi possibili aumenti — considera Leonardo Borchi, sindaco di Vaglia — noi abbiamo ingannato i cittadini, abbiamo detto si passa al porta a porta, che comporterà un piccolo aumento, ma che si recupererà negli anni successivi. E invece questi aumenti rischiano di esserci tutti gli anni » . Anche il sindaco di Calenzano, Riccardo Prestini, parla di un problema che rischia di diventare come il cane che si morde la coda: «Il fatto è che il contenimento di un anno si scarica sugli anni successivi e l’aumento tenderà a replicarsi. È la conseguenza di situazioni che sono state più volte evidenziate dai Comuni, come Calenzano, che hanno sottolineato che il ritardo nel non fare scelte per nuovi impianti necessari abbia come riflesso l’aumento delle tariffe. Noi lo scorso anno bocciammo il Pef lanciando un allarme » . Mentre il deputato di Italia Viva Gabriele Toccafondi puntualizza: «I rifiuti non scompaiono, non sono invisibili e in Toscana non siamo per niente autosufficienti. L’assenza di impianti “ costa” 50 milioni in più a famiglie e imprese toscane».

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