«Siena, il pubblico e il privato legati dall’arte di tutti i tempi»

Grottanelli De Santi (Art Institute): i nostri studenti, tra il passato e la contemporaneità

di Daniele Magrini

Madyha Leghari ha grandi occhi scuri che sembrano esplorare il futuro incerto di tutti noi, dalla prospettiva di Lahore (Pakistan). Carlos Estevez, cubano che vive a Miami, riflette intorno all’universo spirituale dell’umanità. Lisa Nonken e Laura Marsh, si incontrano sul limitare di uno splendido salone dal pavimento a scacchiera ed enormi pietre colorate, che potrebbero perfino assomigliare un po’ ai barberi delle Contrade senesi.

Proprio Siena è il luogo che accoglie questi giovani artisti contemporanei provenienti da tre continenti. Non importa che Madyha, Carlos, Lisa e Laura non siano seduti a un tavolino di un bar di Piazza del Campo, perché le loro idee circolano comunque, nonostante il virus. A riunire questi e altri giovani artisti sparsi in tutto il mondo è il Siena Art Institute, che sulla propria pagina Facebook ogni martedì e venerdì trasmette «Starters Live». Dialoghi digitali live con artisti che raccontano l’arte contemporanea al tempo della quarantena.

Il format è interattivo: ognuno può lasciarsi contaminare da queste tracce di futuro, come in una sorta di contagio positivo.

Miriam Grottanelli De Santi, lei che dirige il Siena Art Institute e anche la Siena School for Liberal Arts, con «Starters Live» ha voluto mantenere Siena al centro di una rete internazionale di giovani artisti. È così?

«Assaggi d’arte è un appuntamento del Siena Art Institute che riunisce a Siena un centinaio di giovani artisti provenienti da tutto il mondo, per una serie di conversazioni informali. La pandemia quest’anno ci ha fermato. E allora abbiamo voluto reagire grazie all’opportunità digitale, proponendo agli artisti queste dirette su Facebook. Il meccanismo funziona così bene che abbiamo pensato di mantenere qualcosa di questo tipo anche dopo l’emergenza. Siamo grati per la loro partecipazione, per lo slancio affettuoso con cui hanno accolto il richiamo, perché il loro è un tributo non solo al Siena Art Institute, ma a Siena intera. Ci hanno fatto entrare nelle loro case, come per restituire qualcosa a questa nostra città che a loro ha dato molto. Che lo facciano in questo momento di crisi, sotto l’assedio del virus, è ancora più significativo, perché ci consente di restare connessi con il mondo».

Quale è il linguaggio comune tra questi giovani artisti contemporanei provenienti da tutto il mondo, e i grandi pittori senesi di altre epoche, da Simone Martini ad Ambrogio Lorenzetti e Duccio di Buoninsegna?

«Credo che il grande punto d’incontro quando introduciamo la nostra città ad artisti internazionali, sia la possibilità che loro non solo apprezzino le nostre opere d’arte ma riescano a capire come lo studio e l’analisi di queste opere, mescolate a vivere la dimensione quotidiana senese, possa produrre una reinterpretazione della nostra città ritagliata in base agli strumenti e alla creatività di ognuno di questi giovani artisti. È come se la dimensione interiore e personale di questi personaggi, consentisse a chi viene in contatto con Siena, di assorbirne un contenuto mai uguale ad un altro, profilato in base alla creatività e alla libertà di pensiero. Per noi di Siena Art Institute questo è importante, e anche per la comunità dei senesi, che così hanno la possibilità di rivedere e riconoscere la loro città, attraverso gli occhi del mondo. Queste diverse prospettive sono una opportunità rara. Ed è qui che si incontrano l’arte senese che più conosciamo, con l’arte contemporanea: una grande piattaforma che offre alla città l’articolata ricchezza della reinterpretazione».

Come già avvenuto per le interviste a Francesco Frati, Fabrizio Landi, Nicola Sani, anche lei mi pare sottolinei come il valore aggiunto per Siena, ora nell’emergenza da coronavirus e soprattutto nella ricostruzione, sia la dimensione internazionale…

«È assolutamente così. Siena risuona nei cuori di chi l’ha vissuta attraverso la Chigiana, le Università, e anche il nostro istituto. Perché gli artisti che, attraverso di noi, vengono in contatto con la città, non sono viaggiatori di passaggio o curiosi e pur attenti osservatori dei tesori della città. Si legano alla Toscana e a Siena con un affetto che muove dalla bellezza senz’altro, ma è in relazione anche al modo di vivere. Da senese di questo sono molto orgogliosa: Siena colpisce molto di più di altre città d’arte. Raggiunge nel profondo gli animi sensibili, perché e lontana e cosmopolita insieme. È gelosa tradizione e porte aperte. È campagna che entra nel tessuto urbano antico. È inevitabile che Siena rimanga nell’anima di chiunque sia introdotto nel modo giusto alla città. E questa è una seduzione che colpisce in particolare gli artisti».

La Pinacoteca, il Museo dell’Opa, il Santa Maria della Scala: i grandi musei della città, appartenenti a istituzioni diverse e difficili da far dialogare, andranno ripensati dopo l’emergenza?

«Ogni istituzione ha proprie regole e burocrazia. Tentativi di armonizzazione ne sono stati fatti, ma è difficile. Ma ognuno di questi spazi è molto ricco e pieno di potenzialità: si fa comunque tantissimo e questo va sottolineato più di ciò che manca. Il Santa Maria della Scala è un museo finito solo per metà eppure tante sono le cose che vengono fatte, così come c’è vivacità anche alla Pinacoteca. Siamo in presenza di giganti, ricordiamocelo, ma sono ottimista. Negli ultimi anni sono stati fatti tanti sforzi per una maggiore unità di intenti. Sarà naturale che avvenga sempre di più nella chiave della collaborazione tra pubblico e privato».

 

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