Uno dei capisaldi della nostra società e più in generale del nostro modo di vivere e pensare è senza alcun dubbio la difesa e l’affermazione, fino all’esaltazione, della libertà. Il nostro “primo mondo” – conviene sempre ricordare che ancora oggi ci sono altri “mondi”, altre parti del mondo in cui si vive ben lontani dallo stile di vita e dal benessere delle cosiddette “società avanzate” –, dopo aver superato l’incubo della fame, e al termine di un lungo percorso storico, trova nella celebrazione della libertà una delle sue indiscutibili certezze.

Di solito, gli spiriti più sensibili e accorti, di fronte a una simile esaltazione si affrettano a osservare: certo, la libertà è essenziale ma essa non deve mai essere scissa dalla responsabilità: voler essere liberi significa dover essere responsabili; inoltre, ogni libertà individuale trova il proprio limite nella libertà dell’altro: nessuna libertà può essere intesa come un puro e semplice assoluto, nessuna libertà individuale deve trasformarsi in una forma di oppressione dell’altro. Non si può che essere d’accordo con simili precisioni; eppure, una volta ribadita tale adesione, è bene evidenziare altri aspetti – il più delle volte trascurati perché giudicati troppo teorici o, peggio, inutilmente filosofici – di un argomento, quello della libertà, che continuamente e con insistenza sfida la nostra riflessione.

LIBERI DA COSA?

Innanzitutto: libertà rispetto a che cosa e a chi? A riguardo vale la pena ricordare la risposta di Gesù a quei giudei che rivendicavano con orgoglio la loro libertà affermando di non essere mai stati schiavi di nessuno: voi credete di essere liberi ma in verità siete schiavi del peccato (Gv 8, 32). Ma lasciando perdere la complessa questione del “peccato”, converrebbe riconoscere le fin troppo evidenti schiavitù che affliggono l’intima esperienza anche di noi uomini del “primo mondo”: sensi di colpa, paure inconsce, insicurezze relazionali, insoddisfazioni professionali, sensi di inferiorità, invidie, gelosie, desideri di primeggiare, ricerca compulsiva del successo, ecc. Liberi da che cosa, ci si chiedeva? Dal potere, si è pronti a rispondere, ma bisognerebbe anche riconoscere che la libertà autentica impone anche, e forse soprattutto, la capacità di resistere al fascino di dominare e sottomettere: liberi, dunque, dal potere, ma al tempo stesso sia da quello che ci opprime ma anche da quello attraverso il quale opprimiamo.

Quella che Žižek definisce «l’ideologia liberale fondata sull’idea di un soggetto psicologico ben formato e dotato di tendenze naturali» si dimostra del tutto sorda di fronte a simili complicazioni. Questa ideologia, infatti, concepisce il soggetto umano come un essere psicologicamente compatto, senza incertezze e inquietudini, ricco di potenzialità naturali che attendono solo di passare all’atto. Un simile uomo, senza inconscio e dubbi, senza limiti e impermeabile a ogni trauma, che sa sempre chi è e che cosa vuole, non deve far altro che dare spazio alla propria interiorità che in sé stessa sarebbe tutta e immediatamente ben formata: libertà fin dal principio liberata, libertà in quanto tutto-pieno che attende solo di potersi autonomamente affermare.

Secondo questa visione – evidentemente fantasiosa: un uomo come quello descritto non è mai esistito, per fortuna verrebbe da dire – l’unico limite che la realizzazione personale si trova a incontrare sulla propria strada è quella che viene dall’esterno, dalle circostanze esterne (dallo stato, ad esempio) e soprattutto dagli altri: l’interno sarebbe sempre sicuro e certo, mentre l’esterno sarebbe sempre inquietante e minaccioso.

«Questa idea di soggetto – scrive Žižek – come vittima irresponsabile comprende l’estrema prospettiva narcisistica dalla quale ogni incontro con l’Altro appare come una potenziale minaccia al precario equilibrio immaginario del soggetto […] nella forma predominante di individualismo d’oggi, l’affermazione auto-centrata del soggetto psicologico paradossalmente coincide con la percezione di sé stessi come vittime delle circostanze» (Credere, Meltemi 2005, p. 179).

In effetti il soggetto narcisistico è spesso paranoico, ed è proprio su questo fondamento che emerge una sorta di schiavitù da un’insoddisfazione che sembra affermarsi nella misura stessa in cui l’accesso al godimento si intensifica e allarga. Non a caso, riconosciuta la diffusa esperienza di quello che giustamente è stato definito un “godimento senza soddisfazione”, da più parti si è denunciato il senso di fatica e oppressione che affligge molti “uomini liberi” che vivono nelle società avanzate.

In secondo luogo: libertà per chi e per che cosa? Una sorta di pudore o forse più prosaicamente di timore tende a sorvolare su un simile interrogativo. L’essenziale e l’urgente è essere liberi-da, mentre l’essere liberi-per può attendere e la questione ch’esso pone può essere affrontata in un secondo momento, un momento che in verità viene continuamente rinviato.

Accade così come quell’aspirante musicista che trascorre tutto il suo tempo a pensare alla qualità dello strumento da acquistare senza preoccuparsi minimamente di apprendere il linguaggio musicale necessario per utilizzarlo. Si cade così nell’illusione di potere e soprattutto di sapere suonare solo perché si è in possesso del migliore strumento per poterlo fare; tale illusione produce senza alcun dubbio un momentaneo godimento (finalmente potrò suonare), ma, ancora una volta, è un godimento senza soddisfazione (infatti non so ancora suonare), e anzi, alla fine, il possesso stesso dello strumento si trasforma in una sorta di peso e in una fonte di frustrazione poiché il suo potere continua a rivelarmi e a ricordarmi il mio non sapere.

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