Sfida all’ultimo scatto

Cartier-Bresson & Lartigue
A Venezia sono in mostra contemporaneamente a Palazzo Grassi e alla Casa dei Tre Oci due grandi della fotografia che hanno raccontato il Novecento con sguardi opposti Il primo giocando con la Storia Il secondo privilegiando una dimensione più intima del vivere
di Michele Smargiassi
Venezia
Com’è dolce incontrarli insieme, a Venezia città dei rimpianti, vent’anni dopo la fine di quel secolo breve dall’occhio lungo di cui furono i grandi, opposti narratori visuali. Henri Cartier- Bresson e Jacques Henri Lartigue, uno a Palazzo Grassi, l’altro alla Casa dei Tre Oci: due passi, un paio di fermate di vaporetto e rimetti assieme lo sguardo duplice della fotografia del Novecento: il mondo dei grandi eventi e quello dei piccoli fatti, il pubblico e l’intimo, la grande storia e la vita privata. Il grande Autore e il grande Dilettante. Speculari, uguali e diversi, due anime, due idee, due genealogie, due ideologie, lo yin- yang della fotografia. L’occasione unica di capire che cosa sia stata, nel secolo scorso, la fotografia, sovrapponendo due biografie parallele e due opere complementari: due francesi, entrambi eredi di grandi fortune ( HCB di industriali del filo da cucire, JHL di banchieri, all’epoca l’ottava famiglia più ricca di Francia), celebrità indiscusse, mitizzati in vita, monumentalizzati nel ricordo, eppure così inconciliabili, opposti, forse incompatibili. Lo furono davvero?
Un’altra retrospettiva di Cartier- Bresson sembrava una missione impossibile: di lui, a sedici anni dalla scomparsa, abbiamo consumato ormai tutto, letture e riletture, anche la Fondation che a Parigi porta il suo nome ora si dedica a carotaggi minuziosi di singole frazioni del suo magnum opus (per esempio, il reportage dalla Cina che segnò la sua metamorfosi da fotografo surrealista a narratore del secolo). Deve aver esitato anche François Pinault, il miliardario francese che poco tempo fa si aggiudicò una delle sei copie esistenti della Master Collection, la selezione di 385 immagini che lo stesso HCB, dopo molte esitazioni, mise insieme nel 1973, quando ormai stava abbandonando la fotografia, su invito di due collezionisti americani. Ma avrebbe avuto senso esporre nudo e crudo questo HCB secondo HCB, mezzo secolo dopo, fuori dal suo tempo? Cartier- Bresson oggi non si guarda più, si ri- guarda, le sue immagini- icona ( e lui le ha incluse tutte, indulgente verso il proprio mito) sono come celebrità incontrate per strada, danno il piacere del riconoscimento, non il brivido della scoperta. Con l’opera di HCB, oggi, si può semmai giocare, come con le carte da poker, che sono sempre le stesse, ma ogni mano è differente, e così è andata: Pinault ha messo il mazzo in mano a cinque curatori diversi e famosi ( Wim Wenders, il regista; Annie Leibovitz, la fotografa; Javier Cercas, lo scrittore; Sylvie Aubenas, la studiosa; e se stesso, il padrone di casa) e li ha invitati a rimescolarlo, e a comporre il proprio solitario ( Wenders lo fa proprio materialmente, su un tavolo, nel video in mostra). Quel che succede è singolare, per una esposizione. Scelte da più di un curatore, alcune fotografie si ripetono tra una sezione e l’altra (ma nessuna immagine è stata scelta da tutti e cinque), tanto che è stato necessario attingere a prestiti dalle altre cinque collezioni esistenti; alcune non sono state scelte affatto e sono visibili solo, piccole, nel mosaico della prima sala. È davvero Le grand jeu, come recita l’inevitabile titolo della mostra ( fino al 20 marzo 2021): HCB ne esce frammentato, la sua opera come il gioco di tarocchi nel Castello dei destini incrociati di Italo Calvino, ricomponibile secondo narrazioni potenzialmente infinite: l’eroismo della storia in Cercas, la magia della visione in Wenders, l’arte dell’istante in Leibovitz, la sapienza della forma in Aubenas, il fascino della vita minuta in Pinault. Sono cinque HCB diversi? Nel labirinto di specchi l’uomo in carne ed ossa che guardò il Novecento evapora, lasciando il profumo di un occhio disincarnato, olimpico: un Omero della visione, l’Autore per eccellenza, il più perfetto, quello che si identifica con il suo oggetto. Del resto, mentre coglieva quelle immagini, l’ideale di HCB non era forse scomparire, diventare invisibile?
Di là dalla Giudecca, invece, nessuno riuscirebbe a far evaporare Lartigue dalle sue fotografie. Come Proust, a cui è stato superficialmente paragonato, espressione ed esperienza sono incollate in lui come lettera e francobollo. Fu “ il bambino del secolo”, come HCB ne fu l’occhio adulto. Almeno, così si lasciò docilmente definire quando nel 1963 fu “ scoperto” da Richard Avedon e John Szarkowski ( due americani, per la rabbia dei francesi), in qualche modo dunque fu anche lui reinventato secondo una narrazione nuova, come figura di cantore della vita quotidiana della Belle èpoque, delle signore a passeggio per il Bois de Boulogne con la stola di volpe, dei primi aviatori eroici, anche se, quando il MoMA gli dedicò la sua prima mostra, gli astronauti andavano già in orbita e lui era già un uomo anziano, aveva 69 anni, si considerava un pittore, in realtà aveva passato la vita come una lunga vacanza, ricco di famiglia, colto, amante dei piaceri e delle belle donne. Aveva fotografato tutto questo, con metodo e costanza incredibili, per decenni, raccogliendo tutto in 250 mila fotografie incollate su 14.423 pagine di 119 album. Dove la Storia, quella che HCB rincorse per decenni, non esiste. Niente guerre, niente nazisti a Parigi, niente rivoluzioni, niente. Ci sono però scherzi in villeggiatura col fratello Zissou, vacanze spensierate con le sue quattro bellissime mogli e amanti, e poi partite di tennis, golf, sciate sulle Alpi, cagnolini, vacanze in riviera, lusso, spensieratezza, tutto questo è L’invenzione della felicità (fino al 10 gennaio 2021).
Portatevi a casa i due cataloghi: sembreranno raccontare due secoli diversi, incomunicanti. Invece no, è solo una illusione ottica. Combaciano benissimo. Assieme, saturano il piano della civiltà dell’immagine meccanica, sapientemente costruito per essere venduto a milioni di fotografanti. Fate caso alla cronologia: Lartigue diventa famoso a metà degli anni Sessanta, proprio quando HCB ( più giovane di 14 anni!) comincia a lasciare la scena. E che cosa accade, in quegli anni? Che la Kodak invade il mercato con la macchinetta del secolo, la Instamatic di plastica ( Instagram le deve metà del suo nome) con la tecnologia guarda- e- scatta che rese tutti fotografi mezzo secolo prima del selfie. Sono gli anni in cui Pierre Bourdieu analizza la fotografia come “arte media”, estetica democratica e popolare, mercato planetario di massa dell’espressione visuale che non prosperò senza aver costruito i suoi miti efficienti. Ed eccolo, allora, il passaggio del testimone: HCB il fotografo che vorresti essere, Lartigue il fotografo che potresti essere. L’industria mondiale della fotografia aveva bisogno di testimonial per convincere i padri di famiglia che si potevano realizzare “ belle foto” anche senza cultura, studio, tecnica. Lartigue, eterno bambino prodigio, fu consegnato al ruolo di “ buon selvaggio” della fotografia, eroe del fotoamatore, “ precursore” e culmine della spontaneità fotografica, così come HCB era stato assegnato all’Olimpo della perfezione, perché anche di divinità irraggiungibili il mercato ha bisogno. Ma così, si capisce, la poesia va in fumo, e allora ascoltate un consiglio: mettete da parte, per dopo, tutta questa contestualizzazione, e tuffatevi nei due vortici di immagini, magari per scoprire che la poetica dell’istante decisivo di Cartier- Bresson e quella dell’infinita serenità di Lartigue si somigliano, perché le fotografie son quelle cose che Ghirri intuì proprio guardando le fotografie del secondo, ovvero « torte che non arrivano mai in faccia, ma rimangono miracolosamente sospese nell’aria » . A Venezia, città del tempo sospeso, si va per accorgersi che HCB+Lartigue è una somma che ci dà più degli addendi, che la soglia fra storia del mondo e storia privata è osmotica, e che aveva ragione Italo Calvino: «forse la vera fotografia totale è un mucchio di frammenti d’immagini private sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni ».
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