ROMA – Inizia il 3 agosto il semestre bianco, e i partiti lo inaugurano con malumori neppure troppo sopiti sui passaggi parlamentari prima della pausa estiva.
Si inizia alla Camera con la riforma della giustizia e una sola domanda: quanti nel M5s si sfileranno? Omaggiato a parole, l’accordo che ha portato al ritiro degli emendamenti lascia l’amaro in bocca ai Cinque Stelle. E non solo a loro.
Dopo il voto di questa sera a Montecitorio, si preannuncia una nuova fiducia anche al Senato. Anche se i contiani presidiano il gruppo M5s di Palazzo Madama, sono troppo stretti i tempi per chiudere prima delle vacanze con una discussione di merito sulla riforma. Più che probabile dunque che l’esecutivo ponga la fiducia anche nel passaggio al Senato. Anzi a quanto apprende la Dire la ministra Marta Cartabia avrebbe già sondato il terreno, con una consultazione informale dei gruppi parlamentari. Ma a sorpresa avrebbe ottenuto una risposta non perfettamente in linea con l’entusiasmo manifestato dai partiti dopo il via libera alla riforma a Palazzo Chigi.
Doppia sorpresa: a reclamare un po’ più di attenzione ci sarebbero non solo i M5s del Senato, diversamente recalcitranti. Ma anche i Dem, gran parte dei quali non ci sta a passare per una sorta di votificio del governo. Di qui il consiglio che sarebbe venuto a Palazzo Chigi: “Ma non si può rinviare a settembre il via libera definitivo?”
No, non si può. Perché la difesa delle prerogative del Parlamento si scontra con un dato di fatto incontestabile dalla stessa maggioranza: la volontà del presidente del consiglio Mario Draghi. Considerata incoercibile dai partiti. Basti ricordare l’epiteto che in molti affibiano al premier nei conciliaboli di Transatlantico. “Sua Santità ha detto no”, dicono tra il serio e il faceto per ricordare a se stessi l’impotenza del Parlamento e la potenza del premier.
Ma ora il semestre bianco potrebbe cambiare le carte in tavola. E non solo perché Matteo Salvini sollecita le maniere forti del governo sull’immigrazione, pena il ritiro del sostegno leghista. Più significativo è forse il campanello d’allarme suonato al Quirinale sulle conseguenze di una condotta davvero troppo indisciplinata da parte della larga e strana maggioranza. Non a caso, viene fatto notare, Mattarella ha chiuso la lettera sulle leggi di conversione ricordando la possibilità, sancita prima di lui da Napolitano, per cui di fronte a un testo rinviato alle Camere, il governo può reiterare il decreto originario così come corretto dal Quirinale senza incorrere nel divieto costituzionale. In maggioranza hanno visto rinsaldarsi ancora di più quell’asse Palazzo Chigi-Colle che finirebbe per bilanciare – soffocare? – le pretese dei partiti.
Sta di fatto che persino il decreto Brunetta sulle assunzioni nella Pa è sacrificato dalla logica dei tempi stretti: in scadenza l’8 agosto, verrà approvato dalla Camera dopo il voto sulla Cartabia nel testo corretto dal Senato. “Ormai siamo al monocameralismo”, si lamentano i più sensibili.
Anime belle. Alle rimostranze della politica il premier Draghi ha offerto una via d’uscita: lavorare fino a Ferragosto. “Signori, io sono a vostra disposizione”, avrebbe detto a un ministro che gli faceva presente la necessità di prenotare aerei e treni per il 7 del mese. Come dire: se volete lavorare, noi ci siamo. Altrimenti fatevi le ferie, e votate le fiducie.
La parentesi estiva potrebbe decidere anche il destino del ddl Zan. Domani la capigruppo del Senato deciderà sulle ferie dei senatori e sui tempi e modi con cui esaminare la norma contro l’omotransfobia. Italia viva propone un lodo che consiste nel mettere al sicuro la parte di testo condiviso con una doppia rapida approvazione. Significherebbe continuare a lavorare almeno un’altra settimana. Tra i renziani c’è la convinzione che il Pd non accetterà l’offerta: “Vogliono arrivare a dopo le amministrative del 3 e 4 ottobre”, spiegano, intendendo che a quel punto l’affossamento del disegno di legge non farebbe più male dal punto di vista elettorale. Occhio non vede, voto non duole.