Saville, Koons e Vezzoli. Una settimana d’arte a Firenze

Tre inaugurazioni di rilievo la prossima settimana a Firenze: Jenny Saville al Museo del Novecento e in altri siti museali della città, Jeff Koons a Palazzo Strozzi e Francesco Vezzoli a Piazza della Signoria e nello Studiolo di Francesco I de’ Medici a Palazzo Vecchio.

Questa domenica la pagina dell’arte è dedicata a uno di questi artisti: Jenny Saville. Ne scrivo personalmente. Non nascondo di avere una certa predilezione per questa pittrice alla quale, come spiego nell’articolo, nel mio personale museo immaginario ho riservato un posto di rilievo con il trittico Atonement Studies. L’opera di grandi dimensioni è stata realizzata a Palermo tra il 2005 e il 2006 e ne ho scritto in un lungo saggio quando, appena finita, fu presentata all’Arancera di Villa Borghese, a Roma, nella mostra The Bilotti Chapel, curata da Gianni Mercurio. La mostra comprendeva tre grandi trittici, quello di Saville, per l’appunto, e altri di Damien Hirst e di David Salle. Scrivere quel saggio mi permise di avere un fitto scambio con l’artista per approfondire il suo lavoro, raccogliendo informazioni che non avevo trovato in altri testi su di lei. Allora Saville viveva a Palermo, dove intanto, insieme a Gianni Mercurio, stavo lavorando alla mostra Eretica, che si tenne quello stesso anno alla Galleria d’Arte Moderna.

Il pannello centrale di Atonement Studies era un ritratto di Rosetta, una giovane napoletana cieca dalla nascita, raffigurata in una posa estatica. Sapevo che Saville aveva realizzato una seconda versione di Rosetta e riuscire a convincerla a esporla a Palermo non fu facile per via della volontà dell’artista di condurre una vita appartata, senza distrazioni dal suo lavoro in studio. Naturalmente a Palermo chi si interessava d’arte sapeva che Saville viveva e lavorava lì. Facile comprendere l’entusiasmo che la presenza di quell’opera in mostra suscitò in città. Ora Rosetta II torna in Italia nella mostra antologica curata da Sergio Risaliti al Museo del Novecento di Firenze, con opere disseminate in diversi siti museali della città.

Come sempre evito di svelare nella mia newsletter troppo di ciò che troverete nell’articolo pubblicato nella versione cartacea di Domani, nel quale oltre a spiegare le relazioni che l’opera di Saville ha con le testi della filosofa femminista belga Luce Irigaray mi soffermo su alcune opere la cui narrazione permette di addentrarsi nella sua poetica.

Atonement Studies fu esposta una seconda volta a Milano nel 2007, nella mostra Timeralla Triennale Bovisa, mostra che ho curato insieme a Gianni Mercurio. Fu quella una nuova occasione per occuparmi di quell’opera. Così come ho passato ore a Palermo ad osservare in solitudine Rosetta II, a distanza di anni ebbi modo di fare altrettanto, a porte chiuse, quando il trittico fu installato in mostra. Non nascondo che mi emoziona l’idea di ritrovarmi nuovamente faccia a faccia con Rosetta II.

Rosetta, quella vera in carne ed ossa, l’ho vista a Roma all’inaugurazione della mostra al Museo Bilotti e nelle diverse occasioni in cui si festeggiò l’evento. Saville aveva voluto che fosse presente. Attingo ancora a quanto mi disse l’artista su Rosetta, parole riportate nel testo scritto per accompagnare la prima esposizione di Atonement Studies ma che non troverete nel mio articolo: “Mi interessava sapere come Rosetta potesse capire i colori, dal momento che è nata cieca. Quando parlavo con lei del modo in cui percepisce il mondo, Rosetta è stata molto precisa nel descrivermi quali colori le piacciono e quali no, e queste scelte erano determinate dal modo in cui noi usiamo socialmente i colori. Non le piace il rosso perché lo identifica con il percolo, predilige il nero perché è deciso e definito. Il rosa e il blu chiaro sono i suoi colori preferiti perché rassicuranti e femminili. Il suo abbigliamento è molto elegante e Rosetta è in grado di descrivere nel dettaglio il colore dei suoi pantaloni e della sua camicia”.
Ecco alcune notizie presenti nel mio vecchio testo ma non nell’articolo. All’inizio di aprile, quando muore Karol Wojtyla – mi riferisco dunque al periodo in cui stava lavorando ad Atonement Studies – Saville andò a Roma. Si unì ai fedeli e ai pellegrini in fila per rendere omaggio alla salma di Wojtyla. Nella lunga attesa, a colpirla fu soprattutto la solidarietà, il sostenersi passandosi acqua e cibo. Subito dopo Natale, quello stesso anno, sentì di dover andare in Terra Santa. In quattro giorni fece tappa a Gerusalemme, Gerico, Ramallah e sulla costa del mar morto. Allora scambiavo idee sull’arte di Saville anche con Carlo Bilotti, il collezionista che le aveva commissionato Atonement Studies. “Mi ha detto che voleva vedere e sentire di persona le sofferenze della gente che vive in questa terra dilaniata da conflitti e da odi millenari” mi disse Bilotti. “La cosa interessante” proseguì Bilotti, “è che Jenny ha sentito il bisogno di fare questa visita mentre dipingeva uomini e donne che soffrono ma che, nella sofferenza, si avvicinano sempre più a Dio, divenendo quasi delle figure angeliche”.

Chi da queste parole si fosse fatto l’idea di una ragazza tutta casa e chiesa si sbaglia. Concludo con un aneddoto (anche questo non lo trovate nell’articolo). A Roma, mi raccontò allora Alberto di Fabio, Saville si era andata più volte alle partite della Roma, che vedeva prendendo posto nella curva sud, quella degli ultrà, per intenderci. Tra loro era diventata una figura familiare, tanto che una volta apparve uno striscione con la scritta “Jenny Saville, una di noi”.


Didascalie delle foto 

  • Copertina: Jenny Saville, Atonement Studies, olio su carta, 2005/2006. Veduta parziale della mostra Timer alla Triennale Bovisa, Milano 2007
  • Jenny Saville, Fulcrum, 1999, olio su tela, 261.6 x 487.7 cm. © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021. Collezione privata. Courtesy Gagosian
  • Veduta parziale della mostra Eretica, Galleria d’Arte Moderna, Palermo 2006. A destra: Jenny Saville, Rosetta II, Rosetta II, 2005 – 2006, olio su carta, montato su tavola, 252 x 187.5 cm. A sinistra Paul McCarthy, senza titolo (serie Popo series), 1999-2000, cibacrome su alluminio, 133 x 122 cm.
  • Jenny Saville, Gestation, 2017, pastello e carboncino su carta montata su cartone telato, 200 x 152 cm. © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021. Foto Lucy Dawkins. Collezione privata, Parigi. Courtesy dell’artista e di Gagosian
  • Jenny Saville, Chasah, 2020, olio su lino, 200 x 160 x 3 cm. © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021. Foto: Prudence Cuming Associates. Collezione privata. Courtesy Gagosian
  • Jenny Saville, Prism, 2020, pastello e carboncino su tela, 200 x 160 cm. © Jenny Saville. Tutti i diritti riservati, DACS 2021. Foto: Prudence Cuming Associates. Collezione privata. Courtesy Gagosian

 

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