Salute, scuola, lavoro: incertezze di troppo

di Francesco Giavazzi

 

Da dieci mesi siamo dominati da un’incertezza che invade tutti gli aspetti fondamentali della nostra vita — la salute, la scuola, il lavoro — ed è la maggiore fonte di preoccupazione delle famiglie. Chi ha il difficile compito di guidare un Paese dovrebbe evitare ogni scelta, ogni parola di troppo, che accresce anziché diminuire l’incertezza. Esemplare resta la spiegazione dell’indice di contagio del Covid-19 da parte di Angela Merkel: le furono sufficienti pochi esempi concreti, poche parole chiare, per far capire come la diffusione della pandemia e la possibilità di essere contagiati fossero misurabili (il famoso indice Rt) e quale fosse, di conseguenza, la condotta da seguire. Le difficoltà in cui si trovano le famiglie italiane emergono dall’indagine dell’Istat sulla fiducia dei consumatori, misurata dalle loro percezioni sulla situazione economica generale, su quella della loro famiglia e sulle prospettive per i prossimi mesi. Tutti e tre gli indicatori, dopo il crollo di marzo-aprile, durante l’estate erano migliorati e in settembre il giudizio sulla percezione del «clima economico personale», era tornato a valori non lontani da quelli dei mesi precedenti l’inizio della pandemia. In ottobre invece tutti e tre gli indici sono di nuovo peggiorati, soprattutto quelli orientati al futuro.

L’indagine della Banca d’Italia sui risparmi delle famiglie lo conferma. Rispetto a un anno fa, il risparmio è più che raddoppiato: dall’8 al 19 per cento del reddito dopo le tasse. Una famiglia su due risparmia più che in passato e tiene i propri risparmi sul conto corrente, chiaro indice di incertezza su quanto potrà accadere.

Non sappiamo se e quando ci potremo proteggere dal Covid con un vaccino; in Lombardia non sappiamo neppure quando potremo vaccinarci contro l’influenza. Non sappiamo se potremmo infettare la nostra famiglia, tanto elevato è il numero di asintomatici con cui potremmo essere entrati in contatto e tanto difficile continua ad essere fare un test in assenza di sintomi. La confusione non riguarda solo lo Stato: le continue dispute fra Stato e Regioni sulle rispettive competenza la accresce.

L’incertezza riguarda anche l’economia, ma non solo per gli effetti diretti del Covid. Il governo continua a promettere che alla fine del mese riceveremo comunque lo stipendio, anche se la nostra azienda si è fermata, o un sussidio se la nostra attività è stata chiusa dal lockdown. Alcuni già dubitano di questi aiuti, pur rarefatti. A parte il fatto che molti ai sussidi non hanno accesso e molti, pur avendone diritto, non li ricevono (i lavoratori in cassa integrazione in attesa del primo bonifico erano a fine settembre almeno 100.000, e il totale di mensilità che l’Inps doveva ancora pagare quasi 300 mila). Davvero, improvvisamente, lo Stato si può indebitare senza limiti e senza conseguenze? Perché il debito non è più un problema? Neppure prima che arrivino i fondi europei, che pure sono anch’essi debito?

Né tranquillizza ascoltare il presidente del Consiglio affermare (2 novembre in Parlamento) che «è necessaria una nuova strategia di organizzazione della presenza pubblica nell’economia, che non ostacoli il mercato ma sappia intervenire e indirizzarlo». Davvero dovremmo fidarci ad occhi chiusi degli indirizzi della politica alle aziende private? La storia delle imprese pubbliche in questo Paese, almeno quelle su cui il mercato non vigila, ne lascia quanto meno dubitare.

Ma che cos’è con precisione l’incertezza, e che effetti ha sul comportamento delle persone? Come avevo già scritto quattro anni fa su queste pagine, esporsi a situazioni che comportano dei rischi fa parte della nostra vita quotidiana, ma l’incertezza è diversa dal rischio. Affrontare un rischio significa esporsi a un evento aleatorio essendo in grado di stimare la probabilità che esso si verifichi: gioco alla roulette e so che (se non è truccata) la probabilità che esca il rosso è esattamente 50 per cento.

Al contrario, in situazioni di incertezza non si conosce con precisione la probabilità che un evento si verifichi, o non la si conosce affatto. In altre parole l’incertezza non può essere descritta nei termini probabilistici applicabili a un gioco d’azzardo: non solo non sappiamo che cosa accadrà, spesso non conosciamo neppure che cosa potrebbe accadere. Mervyn King, l’ex-governatore della Bank of England, in Radical Uncertainty , un bel libro recentemente scritto con John Kay, usa, per la differenza fra rischio e incertezza, l’esempio della decisione di Barack Obama di dare il via libera ai Navy Seals per la cattura di Osama bin Laden nel campo di Abbottabad in Pakistan. Obama non conosceva la probabilità che bin Laden si trovasse in quel campo: «John», l’agente della Cia a capo dei Seals, diceva che la probabilità era il 95%, altri gli dicevano che le chances fossero 50-50. Un esempio di decisione in condizioni di incertezza.

I miei colleghi Pierpaolo Battigalli, Simone Cerreia, Fabio Maccheroni e Massimo Marinacci, grandi esperti di incertezza, spiegano che le persone preferiscono dover far scelte che comportino rischi conosciuti, cioè preferiscono esporsi al rischio che all’incertezza. Per esempio, scelgono di investire in una tecnologia già adottata anziché in una nuova, apparentemente migliore, ma non ancora sperimentata. Preferiscono la vecchia anche se sanno che è efficace solo nel 50 per cento dei casi, ma almeno questo lo sanno. Questo atteggiamento è conosciuto come «avversione all’ambiguità». L’avversione all’ambiguità ha due conseguenze. Innanzitutto, più le persone sono avverse all’ambiguità, più insistono nelle loro scelte, e diventa difficile indurle a cambiare i loro comportamenti. Un altro modo in cui le persone reagiscono all’ambiguità è rifugiandosi in «porti sicuri», risparmiando di più appunto.

In Germania, nei mesi precedenti le elezioni del settembre del 1998, vi fu un boom nei risparmi delle famiglie. Durante la campagna elettorale Gerhard Schröder si era impegnato, qualora avesse vinto, a cancellare la riforma pensionistica appena varata dal suo avversario, il cancelliere Helmut Kohl. Ma non diceva quali provvedimenti alternativi avrebbe adottato. Tutti sapevano che il sistema pensionistico tedesco non era sostenibile e che le regole sarebbero dovute cambiare. Di fronte all’incertezza i cittadini tedeschi scelsero di proteggersi risparmiando di più. Il risultato fu un forte rallentamento dell’economia, almeno fino a quando Schröder dopo qualche anno risolse l’incertezza varando una sua riforma pensionistica.

La conclusione, sempre vera nei momenti difficili che la storia presenta e ripresenta, è l’importanza per un Paese di avere un governo che regoli ma non interferisca e sappia tenere la rotta, adottare rapidamente misure efficaci e spiegare i provvedimenti presi in modo semplice.

Adottare provvedimenti efficaci e spiegarli in modo semplice, aiutare i cittadini a diradare le nubi dell’incertezza, è il compito primo di un governo a livello nazionale e locale. In una situazione di emergenza come quella che attraversiamo, lo sforzo deve coinvolgere la politica tutta, maggioranza e opposizione. Ma al governo spetta la prima mossa.

 

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