“Scarso pluralismo? Le accuse di Matteo al Pd sono ingenerose. Non rinascono i Ds: Franceschini e Gentiloni hanno ruoli chiave”
Francesco Rutelli, 63 anni, oggi guarda la politica con un certo distacco. Fondò il Pd e conosce tutti i protagonisti attuali: Renzi e Letta dai tempi della Margherita, Zingaretti in qualità di amministratore, lui che fu sindaco di Roma, Gentiloni fu il suo portavoce. La vecchia passione, assicura, non lo ha mai abbandonato. «Il mondo è molto cambiato, siamo tutti chiamati a modificare le lenti con le quali si osserva la realtà», dice.
Un’altra scissione ai danni del Pd: cosa ne pensa?
«Credo che il vero problema del Pd in questi anni sia stato quello di non saper incrociare né rappresentare un profondo malessere popolare, infatti per due volte i 5 Stelle sono stati il primo partito. È avvenuto anche perché negli anni il Pd ha accettato la disintermedizione, anzi l’ha cavalcata proprio Renzi, perdendo quindi il bacino del suo consenso fatto di comitati, associazioni, ovvero passioni e impegno diffusi. Dopodiché questa separazione è figlia dell’esaurimento del bipolarismo. La socieà è divisa e l’offerta politica è plurale, nascono nuovi soggetti e a una concorrenza che non ambisce tanto a guidare ma ad esistere. Non mi pare entusiasmante, certo».
Renzi ha spiegato che era considerato un corpo estraneo.
«Se la leadership è comando solitario poi alla fine quando perdi, perdi tutto e tutti, anche quelli che ti avevano esaltato acriticamente. Renzi ha talento ma non la capacità di guidare un gioco di squadra e formare gruppi dirigenti».
Chi se ne va dice anche che si stava andando verso una riedizione dei Ds, concorda?
«No, se il capo della delegazione del governo è Franceschini, in Europa c’è Gentiloni, entrambi non vengono dai Ds, questo testimonia pluralismo».
Vede analogie tra la sua scissione per creare l’Api e quella di Renzi?
«No. Noi avevamo l’idea di creare un terzo polo, poi invece è nato il M5S e ci ha pensato Grillo a farlo».
Renzi vuol fare l’ago della bilancia? I sondaggi lo danno al 3%.
«Nel post-bipolarismo puoi incidere così, è legittimo. C’è una logica politica in questo contesto multipolare. Il sistema proporzionale rispetta di più la realtà di tutta Europa. Vedo il pericolo che il sistema maggioritario non possa che andare braccetto con il presidenzialismo, e porti a prospettiva autoritarie».
Il governo ora è più a rischio?
«Sì, nei fatti il posizionamento renziano va a indebolire Conte, se per esistere dovrà marcare le differenze».
Quanto durerà secondo lei?
«Penso sia obbligato a durare, e che qui si parrà la nobilitate di Conte e dei leader di tutti i partiti che lo formano. Renzi incluso».
A proposito, le piace questa alleanza insolita tra Pd e 5 Stelle?
«Vedo del buono nella loro collaborazione perché finisce la denigrazione e si impara a rispettare l’altro, dopo anni di atteggiamenti esasperati da entrambe le parti. Molto dipenderà da Conte. Certo è che questo governo deve stare in piedi per funzionare, per riportare la crescita, non per sopravvivere».
Comunque tornando al Pd, ben due segretari passati sono usciti. Si può dire che come progetto forse non ha funzionato del tutto?
«Lasciando il Pd con amicizia e senza asprezze ho scritto un libro, Lettera a un partito mai nato. In tutti questi anni è mancata una comunanza di progetti e mobilitazione nel Paese e le scissioni sono lì a dimostrarlo. In quali casi l’agenda del Paese è stata formata dal Pd? Vogliamo dire ad esempio che per cultura si doveva fare molto di più? Faccia dire a me, che vengo da una storia comunista, che ricordo bene i dirigenti del Pci dire che bisognava uscire dal mondo degli addetti ai lavori, cercare militanti e quadri tra i ceti popolari, andare laddove si riuniscono i giovani e si creavano le mode popolari. A lungo si è puntato a dare l’immagine di un partito dei e per i vincenti, di chi ce l’aveva fatta o ce la poteva fare, ma la direzione e il sentimento popolare erano tutt’altri».
E Zingaretti come le sembra?
«Ne ho grande rispetto, sta cercando di dare al partito un modo di fare razionale. Anche dando vita a un governo a cui non era favorevole ma ha ascoltato gli altri e ha cambiato idea, questo è apprezzabile. Da cittadino credo che l’obiettivo sia definire politiche semplici e forti su grandi temi: immigrazioni e demografia, ecologia, intelligenza artificiale in rapporto con la perdita del lavoro».
Un’altra scissione ai danni del Pd: cosa ne pensa?
«Credo che il vero problema del Pd in questi anni sia stato quello di non saper incrociare né rappresentare un profondo malessere popolare, infatti per due volte i 5 Stelle sono stati il primo partito. È avvenuto anche perché negli anni il Pd ha accettato la disintermedizione, anzi l’ha cavalcata proprio Renzi, perdendo quindi il bacino del suo consenso fatto di comitati, associazioni, ovvero passioni e impegno diffusi. Dopodiché questa separazione è figlia dell’esaurimento del bipolarismo. La socieà è divisa e l’offerta politica è plurale, nascono nuovi soggetti e a una concorrenza che non ambisce tanto a guidare ma ad esistere. Non mi pare entusiasmante, certo».
Renzi ha spiegato che era considerato un corpo estraneo.
«Se la leadership è comando solitario poi alla fine quando perdi, perdi tutto e tutti, anche quelli che ti avevano esaltato acriticamente. Renzi ha talento ma non la capacità di guidare un gioco di squadra e formare gruppi dirigenti».
Chi se ne va dice anche che si stava andando verso una riedizione dei Ds, concorda?
«No, se il capo della delegazione del governo è Franceschini, in Europa c’è Gentiloni, entrambi non vengono dai Ds, questo testimonia pluralismo».
Vede analogie tra la sua scissione per creare l’Api e quella di Renzi?
«No. Noi avevamo l’idea di creare un terzo polo, poi invece è nato il M5S e ci ha pensato Grillo a farlo».
Renzi vuol fare l’ago della bilancia? I sondaggi lo danno al 3%.
«Nel post-bipolarismo puoi incidere così, è legittimo. C’è una logica politica in questo contesto multipolare. Il sistema proporzionale rispetta di più la realtà di tutta Europa. Vedo il pericolo che il sistema maggioritario non possa che andare braccetto con il presidenzialismo, e porti a prospettiva autoritarie».
Il governo ora è più a rischio?
«Sì, nei fatti il posizionamento renziano va a indebolire Conte, se per esistere dovrà marcare le differenze».
Quanto durerà secondo lei?
«Penso sia obbligato a durare, e che qui si parrà la nobilitate di Conte e dei leader di tutti i partiti che lo formano. Renzi incluso».
A proposito, le piace questa alleanza insolita tra Pd e 5 Stelle?
«Vedo del buono nella loro collaborazione perché finisce la denigrazione e si impara a rispettare l’altro, dopo anni di atteggiamenti esasperati da entrambe le parti. Molto dipenderà da Conte. Certo è che questo governo deve stare in piedi per funzionare, per riportare la crescita, non per sopravvivere».
Comunque tornando al Pd, ben due segretari passati sono usciti. Si può dire che come progetto forse non ha funzionato del tutto?
«Lasciando il Pd con amicizia e senza asprezze ho scritto un libro, Lettera a un partito mai nato. In tutti questi anni è mancata una comunanza di progetti e mobilitazione nel Paese e le scissioni sono lì a dimostrarlo. In quali casi l’agenda del Paese è stata formata dal Pd? Vogliamo dire ad esempio che per cultura si doveva fare molto di più? Faccia dire a me, che vengo da una storia comunista, che ricordo bene i dirigenti del Pci dire che bisognava uscire dal mondo degli addetti ai lavori, cercare militanti e quadri tra i ceti popolari, andare laddove si riuniscono i giovani e si creavano le mode popolari. A lungo si è puntato a dare l’immagine di un partito dei e per i vincenti, di chi ce l’aveva fatta o ce la poteva fare, ma la direzione e il sentimento popolare erano tutt’altri».
E Zingaretti come le sembra?
«Ne ho grande rispetto, sta cercando di dare al partito un modo di fare razionale. Anche dando vita a un governo a cui non era favorevole ma ha ascoltato gli altri e ha cambiato idea, questo è apprezzabile. Da cittadino credo che l’obiettivo sia definire politiche semplici e forti su grandi temi: immigrazioni e demografia, ecologia, intelligenza artificiale in rapporto con la perdita del lavoro».