Ritorno a Villa Albani

I restauri in corso, a partire dalla “ Leda”. Le nuove pubblicazioni Ecco che cosa accade nel luogo dove nacque il neoclassicismo che la Fondazione Torlonia, a Roma, si avvia a rilanciare
di Dario Pappalardo
La Leda con il cigno sembra appena uscita dalle mani del suo anonimo scultore del primo secolo. Così come la cosiddetta fontana di Nettuno, nel giardino qualche metro più in là. O il Parnaso di nuovo brillante, affrescato sulla volta al piano nobile, nel 1761, da Anton Raphael Mengs, che aveva inserito Apollo nella campagna romana. Perché davvero, nel XVIII secolo, le muse si erano trasferite qui, a Villa Albani, eden privato nascosto alla città sulla via Salaria, che il cardinale Alessandro fece costruire a uso e consumo suo e della sua cerchia. Giovanni Battista Piranesi era di casa. È qui che Johann Joachim Winckelmann allestì per il suo mecenate la collezione di antichità che restano tutt’ora centinaia – nonostante il sacco delle truppe napoleoniche (circa 200 sculture portate in Francia: ma l’Antinoo appartenuto all’imperatore Adriano tornò) – in un luogo che sembra essersi addormentato per resistere all’onda d’urto della storia. Eppure qualcosa a Villa Albani si muove. La Fondazione Torlonia – la famiglia acquistò gli otto ettari di costruzione e giardino nel 1866 – sta promuovendo il restauro delle opere nel laboratorio di via della Lungara e auspica di incrementare le visite (sempre su richiesta e a numero chiuso: www. fondazionetorlonia. org), con la partecipazione delle scuole.
Non solo: Villa Albani Torlonia – Alle origini del neoclassicismo (Rizzoli, prefazione di Salvatore Settis, testi di Carlo Gasparri, Raniero Gnoli, Alvar González Palacios, pagg. 368, euro 125) è adesso la prima pubblicazione che documenta con una campagna fotografica senza precedenti, firmata da Massimo Listri in 300 scatti, quello che oggi pochi conoscono, ma che rappresentava una tappa fondamentale del Grand Tour per vedere « i migliori monumenti di tutte le età » , scriveva Goethe. A questa uscita ne seguirà un’altra, che Electa manderà in stampa all’inizio del 2022: sarà un catalogo ragionato a cura di Carlo Gasparri di buona parte delle sculture, delle opere del giardino, ma anche dei dipinti “ moderni” contenuti nella villa. Perché nelle sale non si avvicendano solo tavolette iliache con episodi dell’Iliade, scene del culto di Mitra, misteri egizi, austere divinità dell’Olimpo, mosaici e ritratti imperiali. Il casino nobile della villa – la scrivania dove la Roma del Papa Re firmò la sua resa nel 1870 è ancora al suo posto – conserva anche una raccolta di pittura tutta da approfondire. Dal polittico con la Natività di Perugino, firmato e datato 1491, al Bacco e Arianna di Guido Reni (un quadro quasi gemello è al Lacma di Los Angeles), passando per una Carità romana – con Pero che allatta il padre Cimone in carcere – che sembra una sintesi perfetta tra Caravaggio e l’arte nordeuropea del Seicento.
Villa Albani, « sogno della ragione » , come la definisce Gasparri, per salvarsi dal turismo di massa e restare unica non potrà mai diventare un vero museo. Come quello che prima o poi nascerà per ospitare la collezione Torlonia, in parte esposta ai Capitolini fino al 9 gennaio 2022. I 100 marmi della mostra viaggeranno verso il Louvre – manca ancora l’ufficialità e la pandemia ha rallentato tutto – e gli Stati Uniti. Per poi essere collocati con gli altri 500 in uno spazio che potrebbe essere Palazzo Silvestri – Rivaldi, l’edificio ai Fori imperiali che sarà riqualificato entro il 2025, dopo l’accordo tra ministero della Cultura e Regione Lazio. Il condizionale resta d’obbligo. Ma, intanto, Leda e le altre meraviglie iniziano ad essere meno invisibili.
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