Riti e miti. Lo strano culto delle capuzzelle

Nella Napoli sotterranea sono accatastati centinaia di teschi che da secoli vengono venerati e affascinano artisti e scrittori. Da Melville a Gide da Andy Warhol a Roberto Rossellini

A Napoli, anche in pieno giorno, è difficile farsi strada tra la folla delle ombre, diceva Michel Leiris, alludendo a quella emulsione misterica che nella città del sole ricopre luoghi e persone di un film insieme luminescente e oscuro. Abbagliando il visitatore e spesso anche il nativo con le sue verità segrete esposte in evidenza. Rivelate da quello stesso velo che le occulta. Come quello, impalpabile, che copre il corpo del Cristo velato al centro della penombra esoterica della Cappella Sansevero. Dove l’estetica diventa estatica, la fisica metafisica e la religione enigma. Perché di fronte a quel marmo che sembra sciolto, così sottile da rivelare prodigiosamente quel corpo che dovrebbe nascondere, la religione diventa enigma e teatro. Inganno e disinganno, recita sociale e verità intima, concretezza e astrazione.

Per questo è più facile riconoscere Napoli che conoscerla. Per farlo occorre penetrare nelle sue terre di mezzo, nella sua geologia fisica e sociale, nei vuoti del sottosuolo ma anche negli ipogei dell’immaginario, dove Partenope continua ad annodare le sue trame. Ma la verità di Napoli si nasconde anche nel concitato chiaroscuro dei suoi sotterranei. Come il Cimitero delle Fontanelle, dove il visitatore avanza sotto gli occhi di migliaia di crani allineati sopra interminabili file d’ossa.

Sono le anime abbandonate di Napoli. Le chiamano le pezzentelle, le piccole mendicanti. O, semplicemente, le capuzzelle, cioè le testoline. Questi corpi senza nome, usciti dalle fosse comuni degli appestati, affollano il cimitero delle Fontanelle, un ossario che insinua i suoi meandri sotto la collina di Capodimonte. Siamo nel popolarissimo quartiere della Sanità. Ma ci sono capuzzelle anche in altri sotterranei della città. La chiesa seicentesca del Purgatorio ad Arco in via dei Tribunali, le catacombe paleocristiane di San Gaudioso alla Sanità e la basilica di San Pietro ad Aram, una porta degli inferi a due passi dalla stazione centrale.

Da secoli la pietà popolare ha fatto di questi sans papier dell’aldilà i suoi numi tutelari. Perché li identifica con le anime che soffrono in purgatorio. E continuerebbero a soffrire per l’eternità se non fosse per i devoti che accolgono nel loro pantheon familiare questi spiriti in pena. Mettendoli sugli altari domestici insieme ai propri cari. I seguaci delle capuzzelle dicono di ricevere in sogno l’anima di un defunto che racconta la propria storia e rivela quale sia il suo cranio. Nome e collocazione. Un riconoscimento postumo insomma. Così, come guidati da un navigatore soprannaturale, i devoti vanno a colpo sicuro e individuano tra mille la testa da accudire.

È un caso paradossale di adozione a distanza. Perché quel che si fa per il teschio va a beneficio dell’anima. È esattamente quello che i Greci chiamavano chrematismos. L’apparizione notturna di un morto assetato in cerca di refrigerio. Non per nulla la cura tradizionale delle anime pezzentelle si chiama refrisco, che significa appunto refrigerio. E che consiste in una sequela di gesti molto materiali e al tempo stesso molto simbolici. Perché ci si aspetta che le anime la ricambino. Concedendo grazie e favori, proprio come i santi. C’è chi chiede un lavoro, chi è in cerca di marito, chi vuole disperatamente un figlio, chi ha bisogno di trovar casa. E soprattutto malati che domandano di essere guariti.

Proprio come nel mondo antico, dove gli spiriti dei morti senza nome venivano consultati a scopi divinatori. Quando la grazia arriva, il cranio riceve una sorta di beatificazione popolare. Da quel momento diventa una testa potente, una capa gloriosa, esce dalla schiera anonima e viene solennemente sistemato in un tempietto di marmo e vetro con i nomi dei miracolati. Queste camere di compensazione del soprannaturale che cerca di risalire alla luce del sole, sono fatte apposta per accendere fantasie artistiche e letterarie. Da Hermann Melville che visitò le Fontanelle nel 1857 ad André Gide, da Ferdinand Gregorovius a Gustav Herling. A Roberto Rossellini che in Viaggio in Italia ne fa la location della discesa agli inferi che cambierà la vita della protagonista. Oltretutto le immagini rosselliniane costituiscono una preziosa memoria per immagini dello stato del luogo e delle modalità del culto negli anni Cinquanta. Ma questi spiracula ditis hanno folgorato molti arsisti contemporanei. Dalle testimonianze in figura di Andy Warhol a quelle di Robert Mapplethorpe, da Joseph Beuys a Francesco Clemente.

Nel 2002 l’artista tedesca Rebecca Horn ha dedicato alle capuzzelle l’installazione “Spiriti di madreperla” consistente in 333 teschi di ghisa sormontati da 77 anelli luminosi. E di recente, la performer viennese Anna Witt è tornata sul tema con la videoinstallazione “Braids on Fire/Trecce in Fiamme“, ambientata nell’ipogeo di Santa Maria del Purgatorio ad Arco e frutto di una collaborazione tra il Goethe Institut, il Complesso Museale Santa Maria del Purgatorio ad Arco e l’Associazione Amici di Carlo Fulvio Velardi, nata per ricordare Carlo, un quindicenne precipitato a mare nel luglio 2011. L’Associazione è stata voluta dai genitori e dagli amici di Carlo con lo scopo di svolge attività di sostegno e di solidarietà in favore dei bambini svantaggiati dei quartieri popolari di Napoli.

Tutti senza eccezione hanno subìto il fascino di queste sliding doors del senso. Walter Benjamin scrisse proprio a Napoli Il Dramma barocco tedesco, forse soggiogato da questa dimensione ipogea dell’essere, da questo metaverso della socialità, dove si incrociano la vista e la visione, il sogno e la realtà, la ragione e la figura, la presenza e l’assenza, l’ethos e il pathos. Oggi questi inferi urbani, dove la società napoletana compì la sua nekya ed affinò il suo pensiero della morte e della vita, della pietà e della carità, sono diventati spazi multitasking. Poli rituali ed attrattori turistici. Così quelle che per generazioni di napoletani furono le porte dell’Ade, aperte a schiere di devoti capaci di far risuonare le “voci di dentro” in questi teatri della misericordia, accolgono folle di visitatori in cerca di mistero. Da soglie dell’ombra a musei della pietà. Da luoghi culturali a beni culturali. Discese agli inferi con audioguida.

Il libro
Anime. Il purgatorio a Napoli 
di Marino Niola (Meltemi, pagg. 200 euro 18)
Il libro, da cui è tratto questo testo, sarà presentato oggi al Festival di antropologia di Bologna

 

 

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