Ristoro e la Vergine impaurita L’affresco che restituisce le storie.

di Lauretta Colonnelli

Il ciclo di San Galgano e quegli «sgarbi» al finanziatore dell’impresa e ai frati

Due mani giunte che i restauratori vedono affiorare da uno stato di ridipinture a indicare la presenza nascosta di un orante ritratto a mezzobusto. La scoperta che l’uomo in preghiera aveva un nome e un’identità: si chiamava Ristoro da Selvatella ed era il finanziatore del ciclo di affreschi realizzati da Lorenzetti nella cappella annessa alla rotonda di San Galgano a Montesiepi. Il ritratto di Ristoro non dovette però soddisfare il pittore, che lo ricoprì con stesure cromatiche a finto marmo subito dopo, quando la malta era ancora fresca e permetteva ai colori stesi sopra la figura di aderire all’intonaco.

Forse Ristoro si offese a vedersi emarginato nella zoccolatura di un affresco che occupava l’intera parete, con la scena sovrastante dell’Annunciazione e quella culminante con Maria regina che siede in trono col Bambino in braccio, circondata da angeli e santi, Eva peccatrice stesa ai suoi piedi. Forse non rimase contento neppure chi controllava l’andamento dei lavori e pretendeva un rispetto maggiore per il finanziatore dell’impresa. E così Ambrogio dovette risalire al piano superiore del ponteggio, per aggiungere nella scena con Gabriele annunciante un nuovo ritratto di Ristoro, questa volta a figura intera e delle stesse dimensioni dell’arcangelo. Ma a quell’altezza ormai la malta doveva essere quasi del tutto essiccata, tanto che il pittore fu costretto a dipingere a tempera e il finanziatore destinato comunque a svanire nel corso dei secoli per la consunzione dovuta al tempo e alle difficoltà conservative di questa tecnica pittorica.

Oggi il povero Ristoro è ridotto a un’ombra indecifrabile alle spalle dell’arcangelo e ci sono volute le ricerche dei restauratori e degli studiosi, che a partire dal 2015 hanno lavorato a questa mostra sotto la guida di Alessandro Bagnoli, per ricostruire la vicenda.

La storia di Ristoro non è l’unica emersa in quel che resta degli affreschi di San Galgano. Qua un mazzo di frecce riapparso accanto a un santo ha permesso di identificare nella figura un Sebastiano, là una corona di fiori sulla testa di un giovane ha reso possibile di riconoscere nel personaggio il martire Valeriano. «Dai dipinti sono scaturite sorprese, che hanno contribuito a chiarire molti aspetti tecnici, significati prima nascosti, offrendo nuove prospettive di ricerca», riferisce Bagnoli, che nel catalogo dà conto per la prima volta anche di tutti i restauri avvenuti soprattutto nel Novecento.

La sorpresa più singolare, oggi confermata dalle tecniche di indagine, viene fuori dalla scena dell’Annunciazione, dove l’Annunciata anomala dipinta da Ambrogio è rimasta per secoli sepolta sotto quella serena e obbediente realizzata da un artista suo coetaneo, ora identificato in Niccolò di Segna. La versione originale probabilmente non fu mai vista, poiché la ridipintura avvenne subito dopo la prima pittura a fresco. Così come fu ridipinta la Madonna della lunetta culminante, dove l’immagine di Maria regina del cielo, vestita di un lussuoso manto di seta dorata, fu trasformata in una stereotipata Madonna col Bambino avvolta nell’usuale manto azzurro. «Sulle ragioni di queste distruttive revisioni il dibattito è ancora aperto», dice Bagnoli. Ma una cosa è certa: «Le due immagini furono oggetto di una censura dottrinale da parte dei cistercensi che governavano San Galgano».

Soprattutto non poteva passare la scena di un’Annunciazione che non si era mai vista, con la Vergine atterrita dalla visita dell’arcangelo appena planato e ancora con le grandi ali spiegate ma già pronto a porgere garbatamente la palma a Maria sorpresa all’interno della sua camera da letto. Ambrogio dipinse perfettamente lo spavento della giovane donna, come si vede anche dalla sinopia ritrovata dopo lo strappo dell’affresco: lo scatto del corpo che indietreggia davanti allo spirito celeste e si aggrappa a una colonna e il moto dell’animo espresso dai tratti fulminei delle sopracciglia.

La Vergine impaurita, che esattamente due secoli più tardi Lorenzo Lotto avrebbe rappresentato nell’Annunciazione di Recanati, non era ancora concepibile. Per di più era ispirata a una canzonetta molto popolare, inventata e diffusa dalla confraternita dei laudesi, fondata spontaneamente da devoti passionali e malvisti dagli ordini religiosi. Ambrogio lasciò a loro la propria eredità.