Riforma del Csm, Salvi e le toghe di sinistra bocciano il maggioritario di Bonafede

«Il Consiglio superiore della magistratura non è un piccolo parlamento. È un organo deputato all’amministrazione delle giustizia, non deve governare secondo maggioranza». E dunque «il principio maggioritario è totalmente da espellere». Bocciatura più netta del nuovo sistema elettorale per i magistrati nel Csm non poteva arrivare, A firmarla è direttamente il procuratore generale della Cassazione, il primo magistrato dell’accusa nel nostro sistema, Giovanni Salvi. Anche lui ex componente del Csm, Salvi è intervenuto ieri a una giornata di riflessione sulla riforma del Consiglio superiore organizzata da Area democratica per la giustizia, la corrente di sinistra delle toghe. E ha lanciato il suo avvertimento: «C’è il rischio che le modifiche possano enfatizzare i problemi che si vogliono risolvere».

Le modifiche sono quelle che stanno nella bozza che il ministro Bonafede da settimane porta con sé in riunioni di maggioranza o in incontri con i rappresentanti degli avvocati penalisti e dei magistrati. Il progetto di riforma del Csm, rimandato a febbraio ma poi recuperato a maggio su richiesta del Pd in risposta alle nuove puntate delle intercettazioni di Palamara, per il ministro della giustizia è ormai alle battute finali. Annunciato per il Consiglio dei ministri di inizio giugno, dovrebbe arrivarci effettivamente entro la fine del mese. Al centro ha la nuova legge elettorale per la componente togata del Csm, che con l’occasione passa da sedici a venti magistrati, abbandonando il sistema a collegio unico nazionale per un sistema uninominale maggioritario con venti collegi (18 territoriali più due per Cassazione e fuori ruolo).

Il sistema dovrebbe in teoria penalizzare il ruolo delle correnti. Neanche la magistratura associata – di fronte allo scandalo delle nomine barattate su cui indaga la procura di Perugia – ormai contesta più l’obiettivo. Ma lo strumento sì. Il sistema pensato da Bonafede riceve nuove critiche ogni giorno che si avvicina il momento del varo ufficiale in Consiglio dei ministri. Dovrebbe avvantaggiare i raggruppamenti maggiori, favorendo un bipolarismo destra (Magistratura indipendente) – sinistra (Area), ma ieri proprio le “toghe rosse” hanno articolato la loro contrarietà. «No alla bipolarizzazione della magistratura», ha detto il segretario di Area Eugenio Albamonte. Contro si è già espressa la corrente di Davigo.

Pesa il precedente, la riforma del centrodestra che nel 2002 proprio nel segno del maggioritario si proponeva di stroncare le correnti. Fallì immediatamente. La proposta Bonafede mette insieme uninominale, doppio turno (se nessun candidato raggiunge il 65%) e multi preferenze (fino a tre). Una «miscela esplosiva», ha detto il costituzionalista Imarisio ieri al convegno di Area. «I magistrati non sono molti, in ogni collegio i votanti saranno circa 450 – ha aggiunto il costituzionalista Grosso – il rischio notabilato è altissimo». A difendere la riforma e anche il sistema elettorale – «il doppio turno è più convincente» – il vice segretario del Pd ed ex Guardasigilli Andrea Orlando.

Raggiunto l’accordo con i 5 Stelle sul nodo dei consiglieri laici – i grillini hanno rinunciato a pretendere l’ineleggibilità dei membri del parlamento, norma valida per il futuro ma che avrebbe messo in forte imbarazzo l’attuale vice presidente del Csm Ermini, appunto ex deputato Pd – i democratici sostengono la riforma Bonafede. «Non è contro la magistratura ma per preservare la credibilità e l’autorevolezza», ha spiegato il sottosegretario Giorgis. Per Orlando la sezione disciplinare, quella che si occupa di giudicare i magistrati per le violazioni deontologiche e di condotta, dovrebbe uscire dalla giurisprudenza “domestica” del Csm. Dove ha dato prove «non entusiasmanti». Non se ne parla, invece, secondo il pg Salvi. Anche perché per farlo andrebbe riformato l’articolo 105 della Costituzione.

 

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