Quirinale, Forza Italia non regge più. Parte la carica dei fittiani tiratori. E Denis Verdini sul punto di mollare.


VERDINI BERLUSCONI

Il Patto del Nazareno assomiglia sempre di più a un malato in agonia. E c’entra fino a un certo punto quell’alone di sospetto, fisiologico nelle trattative complesse, con cui Berlusconi ha osservato le ultime mosse di Renzi: “Il patto c’è – ha ripetuto ai suoi con convinzione – ora vediamo se lo rispetta”. Ove il patto sarebbe un nome condiviso al Quirinale, da scegliere fuori dall’elenco dei leader della sinistra, a partire da Romano Prodi, passando per tutti gli ex segretari del Pd: “Renzi – ripete – si è impegnato”.

E proprio per tastarne la “tenuta” l’ex premier ha fatto piombare la dichiarazione sul “Nazareno al Colle” durante l’assemblea del Pd. Ricevendo tutt’altro che un sonoro non se ne parla. Anzi, proprio la scelta di Renzi che ha affidato la risposta di circostanza ai suoi vice, Guerini e Serracchiani, e che ha evitato di prendere di petto la questione dal palco è un segnale che tra i due continua un gioco di sponda. Perché Berlusconi è convinto ancora che “è Matteo il primo a non volere Prodi”, consapevole che uno ingombrante al Colle rischierebbe di commissariarlo. Ecco perché non lo hanno colpito più di tanto le notizie di un incontro tra i due. In fondo fa parte del gioco, anche Matteo deve fare ammuina coi suoi per tenerli.

L’agonia del Nazareno è legata a ciò che c’è attorno alle intenzioni. C’è che, dentro Forza Italia, è scattata l’ora del “liberi tutti”. È questo il senso delle durissime dichiarazioni del “ribelle” Raffaele Fitto. Il quale, nel suo blog, per la prima volta non ha parlato solo di partito e di governo: “Forza Italia – scrive – rischia di arrivare a quell’appuntamento politico-parlamentare in una condizione di marginalità e di irrilevanza”. È il messaggio. Anzi, il Messaggio. Nel segreto dell’urna chiamata a eleggere il successore di Napolitano i ribelli, che alla luce del sole sono 36, supererebbero, secondo i ben informati, quota 50: quasi la metà dei gruppi di Forza Italia. Ed è tutt’altro che banale la lettera aperta con cui Renato Brunetta sul Mattinale, invoca alla rottura del Nazareno: “Le riforme sono le nostre? Io dico di no”. Ecco, attorno alle intenzioni del Cavaliere c’è un partito che non risponde più ai comandi. Deve averlo capito per primo Matteo Renzi attento anche nell’assemblea di domenica a non umiliare i suoi oppositori interni per arrivare all’appuntamento del Colle con un partito unito attorno a un nome. Perché se Berlusconi si perde per strada 50 parlamentari su 130 allora conviene – come primo obiettivo – evitare i 101 in casa piuttosto che inseguire gli 80 azzurri in trasferta.

Il Nazareno con il “liberi tutti” c’entra, ma fino a un certo punto. E c’entra fino a un certo punto il governo, la sua politica economica o il Quirinale. È il partito la vera posta in gioco della faida interna e con esso il “controllo” dell’organizzazione. Il termometro di quel che sta accadendo sono le pressioni arrivate ad Arcore per togliere a Maria Rosaria Rossi il potere di firma delle liste elettorali conferitogli da Berlusconi mesi fa. E non è un dettaglio. Perché ormai è dato per assodato che le urne anticipate siano tutt’altro che un’ipotesi del terzo tipo. E il potere di firma delle liste assomiglia a un potere di vita o di morte verso il grosso dei parlamentari. Sta qui il punto più delicato della partita. Su cui Berlusconi non ha intenzione di cedere: “La firma di Rosaria – va ripetendo l’ex premier – è la mia firma. Punto”. Un “Rosaria c’est moi” che riguarda anche i licenziamenti al partito, i tagli delle spese e tutte la misure su cui la “Debitiera” si è guadagnata l’impopolarità. Proprio perché Berlusconi non vuole trattare sul partito, dopo un paio di pranzi con Fitto, non lo ha più chiamato. Né ha intenzione di cedere sovranità al ribelle sul controllo di liste e organizzazione: “Ormai – raccontano i fedelissimi – con Fitto non è più una questione politica, ma personale. Non solo non lo riconosce come interlocutore, ma si sente tradito, offeso da un modo di fare che gli ricorda Fini e Alfano”. Proprio per depotenziare Fitto arriva, dal comitato che si occupa di regionali, la proposta ad accettare la candidatura a governatore della Puglia. Visti i sondaggi, un modo per bruciarlo nel falò di una sconfitta sicura. E infatti la proposta viene immediatamente rispedita al mittente dall’interessato.

Tutte turbolenze su cui a palazzo Chigi è scattato l’allarme. Più volte il premier ha chiesto ai sui: “Ma Forza Italia regge?”. Domanda pronunciata col tono del pessimismo da quando Verdini ha fatto sapere che starebbe per mollare, stanco di una gestione poco razionale da parte del suo partito, e anche del suo Capo. Un parlamentare che ne ha raccolto lo sfogo racconta: “Denis si è rotto. Perché non è possibile fare così. Pure Berlusconi prima dice una cosa, poi un’altra”. E sarebbe stufo di quella che definisce “una banda di dilettanti” attorno a Berlusconi. Quelli, per intenderci, che lo scorso 5 novembre lo hanno spinto a indurire la trattativa del Nazareno facendo sì che, da quel momento, Renzi si muovesse nell’ambito di uno schema diverso: “Prima – prosegue il parlamentare – Matteo parlava con noi e piegava i suoi avendo l’accordo in tasca. Dal 5 novembre, quando Berlusconi sulla legge elettorale ha tirato la corda, Renzi prima trova la quadra coi suoi e poi si confronta con noi”. La “banda” di cui parla il toscanaccio Verdini comprende i capigruppo di Camera e Senato, ma anche il grosso del cerchio attorno al Magico a partire da Giovanni Toti, fautori di un Nazareno meno “supino” e accomodante rispetto a quello di Verdini. Ecco, al di là delle intenzioni, il “patto” è già cambiato. È in agonia, e nell’agonia si è intensificata la confusione e il numero dei ribelli.