Qui Gucci non basta La corsa a ostacoli del colosso del lusso.

Un fulmine a ciel sereno. Nessuno si aspettava, dopo mesi di trattative e l’intesa di maggio, il nuovo ostacolo per il rilancio del famoso marchio nato a Sesto Fiorentino per volontà del marchese Carlo Ginori e diventato Richard Ginori nel 1896. Nessuno, nemmeno in casa Kering, il gruppo francese del lusso — che controlla anche Gucci — proprietario del marchio e che nello stabilimento di viale Giulio Cesare è in affitto, dato che gli immobili ed il terreno sono stati a suo tempo scorporati e sono di proprietà della Ginori Real Estate, società in liquidazione. Una corsa in salita, quella di Gucci prima e di Kering poi, iniziata prima dell’aprile di quattro anni fa, preceduta dalla lunga crisi della fabbrica che oggi impiega oltre 260 persone; una corsa costata 80 milioni, assieme ai sacrifici degli operai in contratto di solidarietà con lo stipendio tagliato.

La svolta per la manifattura, preceduta dalla sospensione del titolo in Borsa nel maggio 2012, era arrivata dopo il fallimento della Richard Ginori nel gennaio 2013: a sorpresa i primi giorni di marzo, Gucci — marchio del gruppo controllato dalla famiglia Pinault — aveva comunicato la volontà di acquisire la Ginori e di rilanciarla. Sul piatto 13 milioni di euro e l’offerta di riassunzione di 230 dei 330 dipendenti che lavoravano a Sesto Fiorentino. Detto, fatto, il 22 aprile Gucci, unica il lizza, si era aggiudicata il marchio e la fabbrica, ma non la proprietà immobiliare della grande area industriale di 130.000 metri quadrati, in mano anche a Ginori Real Estate. Gucci ha messo in prima fila i propri migliori manager nel riposizionamento del marchio e della produzione — da Micaela le Divelec a Karl Heinz Hofer — nominando direttore creativo nel settembre del 2014 quell’Alessandro Michele che ha rivoluzionato il mondo della moda ed il marchio delle G (di cui è stato nominato direttore creativo nel gennaio 2015 per volontà del nuovo ceo della griffe fiorentina Marco Bizzarri), ma il cammino è stato più lungo e faticoso del previsto.

Gli spazi del gigantesco ed obsoleto stabilimento erano in affitto, con scadenza nel 2016, costi alti, gli investimenti indispensabili non bilanciati daun aumento di produzione ed incassi, con l’eterno rebus del futuro della fabbrica e voci sullo spostamento dello stabilimento, nonostante la volontà della nuova proprietà di acquisirlo dalla vecchia. Così nel 2014 il marchio ha perso 12 milioni e nel 2015 ben 18 milioni (nonostante un fatturato di 12,8 milioni di euro, più 15% rispetto all’anno precedente) costringendo Kering, che nel frattempo ha preso direttamente in mano la gestiome del marchio, a ricapitalizzarlo per 10 milioni, affidando l’aggiornamento del piano industriale al nuovo amministratore delegato Giovanni Giunchedi. Nel frattempo il contratto di affitto è stato prolungato al 2019, la società ha presentato l’offerta per comprare la fabbrica e le tensioni non sono mancate — a Sesto gli operai e i cittadini hanno manifestato di nuovo nel settembre dello scorso anno contro ogni ipotesi di spostamento della fabbrica — mentre il gruppo ha lavorato alla crescita del marchio e dei prodotti. Risultato, a giugno è arrivata l’offerta per l’acquisizione dello stabilimento, ed a luglio l’annuncio della collaborazione con Gucci per la linea Gucci Décor di oggetti in porcellana e dell’ingresso di Lorenzo Nuti come worldwide sales director e di Annalisa Tani come brand and product director .

Adesso — per la prima volta — Kering spiega che la produzione si può interrompere, la lunga storia nata nel 1735 subire una nuova frattura. E Sesto Fiorentino si interroga nuovamente su un pezzo importante del suo passato e del suo presente, che nel futuro non vorrebbe proprio perdere.

M.B.

 

  • Martedì 5 Settembre, 2017
  • CORRIERE FIORENTINO