Lega, addio a Le Pen e sovranisti Il piano per la svolta “moderata”
La crisi di consensi spinge il partito a cambiare strategia e a cercare il dialogo con le forze meno estremiste in Europa Due le tappe: l’uscita dal gruppo delle destre e il voto a fine 2021 del successore di Sassoli a Strasburgo, che sarà un Ppe
di Carmelo Lopapa
ROMA — Il conto alla rovescia dentro la Lega è cominciato. Il partito vive il clima da vigilia di una svolta. Quanto meno uno spartiacque destinato a segnare il percorso dei prossimi anni. La convocazione di tutti i 28 europarlamentari a Roma, chiamati a rapporto da Matteo Salvini e dal responsabile esteri Giancarlo Giorgetti, potrebbe essere il preludio a uno strappo dai sovranisti del gruppo Identità e Democrazia.
Perfino il segretario si sarebbe convinto che la convivenza con gli estremisti tedeschi di Afd non porti a nulla di buono per il suo partito, sempre più isolato e perciò incapace di incidere su qualsiasi scelta a Bruxelles. Quel che il braccio destro Giorgetti va predicando da tempo e che sta facendo breccia tra i leghisti a tutti i livelli. Il vicesegretario si è spinto fino al punto da auspicare un «dialogo col Ppe». Salvini meno, ma la sconfitta alle amministrative lo sta inducendo a più miti consigli.
Il segretario è intenzionato ad “ascoltare” i suoi. Più restio invece a separare la propria strada da quella di Marine Le Pen, alla quale l’ex ministro degli Interni si sente legato da un vincolo di riconoscenza. Come lui la pensa Marco Zanni, capogruppo leghista, fautore della permanenza con gli “identitari” europei, ma ormai in posizione minoritaria. Nel resto della delegazione infatti è maturata la convinzione che occorra parlare con la Merkel e coi popolari e che lo stemma destroide dei francesi e dei tedeschi non aiuti. Serve un “colpo di reni” in Europa, ripetono in tanti. Il numero uno e il numero due della Lega ascolteranno i loro deputati nel corso dell’assemblea del 13 ottobre in una sala alla Camera o al Senato. Sonderanno gli umori e trarranno le loro conclusioni. Una delle ipotesi sarebbe quella clamorosa dell’addio al gruppo di Id, per approdare momentaneamente nel limbo dei “non iscritti”. Quello che in Italia si chiamerebbe gruppo misto. Eventualità che Salvini al momento non avalla pubblicamente ma che in tanti ritengono probabile. Se accadesse, si ricomporrebbe la compagine gialloverde: anche il M5S è nel “misto”.
In ogni caso, sarebbe solo un primo passo. Quello successivo segnerebbe la vera e propria svolta continentale: la partecipazione della Lega a una votazione dall’alto valore simbolico, un po’ come lo è stato per i grillini l’elezione del presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. E l’appuntamento più ravvicinato, nel 2021, è l’elezione del prossimo presidente del Parlamento a conclusione del mandato (2 anni e mezzo) del “socialista europeo” David Sassoli. La staffetta di maggioranza prevede il passaggio di testimone a un collega del Ppe. Passaggio che potrebbe essere accelerato nei tempi – non già in autunno ma in primavera – qualora Sassoli accettasse la candidatura a sindaco di Roma per il centrosinistra. Ad ogni modo, la partecipazione dei 28 leghisti all’elezione del futuro presidente del Parlamento si trasformerebbe in un’ulteriore tappa di avvicinamento al Partito popolare. Matteo Salvini non vuole sentir parlare di ingresso nel gruppone di Angela Merkel, lo consider a un “tradimento” della storia della Lega. Certo è che il partito non può restare nel limbo, come gli hanno fatto notare, né è contemplato l’ingresso nel gruppo dei Conservatori, ora che è stata acclamata quale presidente l’alleata-avversaria in Italia, Giorgia Meloni.
«Premesso, la linea la detta il segretario e noi ci adeguiamo. Ma io come altri auspico un posizionamento diverso a Bruxelles – spiega Toni Da Re, eurodeputato veneto, considerato assai vicino a Zaia – Vede, è giusto fare opposizione a questa maggioranza e avere una linea seria, ma deve essere una opposizione di buon senso. Non possiamo pensare di distruggere questa Europa, cosa che Salvini per altro non vuole, bisogna essere collaborativi sulle cose importanti. Un esempio – continua Da Re – A breve si voterà sul Pfr, i fondi europei per l’Agricoltura, misure importanti rispetto alle quali non possiamo chiamarci fuori. Non è tanto la Le Pen quanto i tedeschi di Afd a metterci in difficoltà». Il dibattito insomma è più che aperto. «Ci sono delle riflessioni in corso racconta pur abbottonatissima Francesca Donato, eurodeputata siciliana – Noi ascolteremo Salvini e Giorgetti, illustreremo il nostro punto di vista. Le Pen? I tedeschi di Afd? In tutti i gruppi esistono convivenze difficili. Si tratta di trovare un equilibrio. Non penso però che l’approdo in un gruppo molto ampio (quello del Ppe, ndr) possa essere una soluzione per la Lega».
Non è quella del resto la soluzione alla quale pensa Salvini. Lo stesso Giorgetti ha parlato da Catania di «dialogo», di «confronto» coi popolari. Non di matrimonio. Non adesso, quanto meno. Quel che è urgente, per la Lega – ancora primo partito in Italia e prima delegazione nazionale in Europa – è rompere il “cordone sanitario” stretto un anno fa a Bruxelles e che ora rischia di soffocare e immobilizzare il partito.