Quel che resta degli anni di “Furore”

di Federico Rampini
La Grande Depressione è il precedente storico per eccellenza di ogni crollo e di ogni rinascita Per questo va riletta restituendo il giusto peso ai suoi protagonisti: i presidenti Hoover e Roosevelt
«Uomini già oltre i quaranta,confamiglie cresciute, che potrebbero non ritrovare maipiù il lavoro. A furiadi essere inattivi perdono capacità, subiscono un declino fisico e mentale,la disoccupazione senza fine li trasforma in clienti dell’assistenza, una classe di persone non più impiegabili, come utensili arrugginiti, che non vale più la pena recuperare. Sopravvivono così, questelegioni dei dannati dell’economia: frastornati, apatici, molti di loro pazienti fino alla rassegnazione…». Così nel Capodanno 1935 la reporter americana Lorena Hickok descrive la “generazione abbandonata” degli anni Trenta. La Hickok è un personaggio chiave del suo tempo. Nota come amica, confidente, probabilmente amante della First Lady Eleanor Roosevelt, ha un ruolo prezioso per entrambi i coniugi Roosevelt: attraversal’America raccontando la disperazione. Prima come giornalista, poi scrivendo rapporti riservati alla Casa Bianca. Grazie a lei l’enormità dei danni della Grande Depressione viene percepita dagli artefici del New Deal.
Tra “crolli e rinascite”, la Grande Depressione è il precedente storico per eccellenza. È anche un evento incompreso, semplificato, mitizzato, viene ridotto a una storia in bianco e nero, con buoni e cattivi, peccato e redenzione, fino allo happy ending.
Il cattivo è il capitalismo americano dell’Età dell’Oro, raccontato daFrancis Scott Fitzgerald nel Grande Gatsby. Il re dei cattivi è il presidente repubblicano, l’ultra-liberista Herbert Hoover: dopo il crac del 1929vuole che sia il mercatoa favorire la ripresa. Il cavaliere bianco è FDR,il democraticoFranklin Roosevelt, che dal 1933 lancia la stagione delle riforme progressiste, mobilita le risorse dello Stato e salva gli americani dalla miseria. Come tante leggende è troppo bella per essere vera.
Hooverè finitoingiustamentenella spazzatura della storia. Si guadagna una reputazione mondiale nella Grande Guerra per la sua efficienza e competenza, è l’artefice di una delle operazioni umanitarie più riuscite di tutti i tempi, l’aiuto alimentare a dieci milioni di persone nei paesi europei martoriati dal conflitto. Prefigura alcune politiche del New Deal: dopo il crac del 1929 convince gli industriali a mantenere il potere d’acquistodei lavoratori, una manovra che più tardi sarebbe stata definita “keynesiana”. Lancia la costruzione di operepubbliche come la diga che porta il suo nome, tra il Nevada e l’Arizona. Roosevelt lo sconfigge alle urne nel 1932: in campagna elettorale è parso più cauto, accusando Hoover di avere accumulato un deficit pubblico eccessivo. Roosevelt, influenzato dai pionieri dell’ambientalismo, è convinto che si stiachiudendo un’era segnata dalla conquista di nuove frontiere, dalla colonizzazione di spazi immensi. La Depressione non è un incidente, èil segnalechenon cisaràmai più la crescita del passato. È l’epoca delle teorie sulla “stagnazione secolare”. Uno dei programmi del New Deal che lascia l’eredità più durevole è il Civilian Conservation Corps , servizio civile ambientalista. Remunerato, dà lavoro a tre milioni di giovani dal 1933 al 1942: costruiranno infrastrutture dei grandi parchi nazionali, sentieri, musei di scienze naturali, osservatori e barriere antincendio.
I “cento giorni” sono un altro mito, costruito da un presidente che è un genio della comunicazione. Roosevelt non ha un’ideologia, non ha un piano, sperimenta quasi tutte le nuove idee che gli vengono proposte per combattere la Depressione. Uno dei suoi più stretti collaboratori disse: «Guardare il New Deal come un piano unitario e coerente equivale a osservare la stanza caotica di un adolescente dove ha accumulato alla rinfusa giochi, vecchie foto, libri scolastici, scarpe, e credere che sia l’opera di un decoratore». Il New Deal non cura la Depressione. La disoccupazione media per tutto il decennio fino alla seconda guerra mondiale rimane del 17%. Scrive uno dei più autorevoli storici di quel periodo, David M. Kennedy: «Depressione e New Deal sono due gemelli siamesi, convivono per un decennio in un rapporto di dolorosa simbiosi».
Il 1937 è l’anno della ricaduta. È la Roosevelt Recession, una seconda Depressione, con altri crac di Borsa, crolli di produzione industriale. Una teoria l’attribuisce ad una specie di “sciopero dei capitalisti”, castigati e spaventati dalle politiche anti- business del New Deal: troppe tasse, troppe regole, troppo potere ai sindacati, e un’incertezza permanente sui piani imperscrutabili di Roosevelt e dei suoi “consiglieri socialisti”. Una vasta controreazione, anche popolare, viene dalle zone rurali: l’alimenta la convinzione che il New Deal sia stato una svolta tutta “metropolitana”, una stagione di riforme fatte per la classe operaia delle grandi città (dalle misure contro il lavoro minorile ai diritti sindacali). Nasce una nuova coalizione conservatrice, che unisce il profondo Sud alle zone rurali del Midwest.
Precipita la svolta ideologica del 1938.Finoa quel momentoi progressisti avevano cercato riforme strutturali per imporre la giustizia distributiva, uncambiodimodelloeconomico che avrebbe alterato i rapporti di forza tra le classi. Da questo momento FDR si converte al deficit- spending keynesiano che lascia invariate le regole dell’economia capitalistica, non interviene sulla distribuzione dei redditi tra capitale e lavoro.Se primavedevano ilcapitalismo come un organismo malato da curare, i neo-convertiti al pensiero keynesiano lo vedono come un organismo che va nutrito di maggiore spesa perché si rimetta a funzionare con benefici per tutti. Bisogna aspettare il 1941 e la spesa bellica perché l’America faccia deficit- spendingin dimensioneadeguata per uscire dalla crisi. Anche se il 1938 segna la fine degli esperimenti riformisti, nei cinque anni del New Deal 1933-38 si concentrano più trasformazioni istituzionali e innovazioni sociali che in tutta la storia americana. Solo dopo la seconda guerra mondiale sarà possibile capire quanto l’America sia cambiata in profondità. Scrive Kennedy: «La grande trasformazione del New Deal si riassume in una parola sola: sicurezza. Sicurezza per gli individui vulnerabili. Ma sicurezza anche per capitalisti, consumatori, lavoratori e padroni, imprese e fattorie, proprietari di case e banchieri e costruttori edili. Sicurezza del posto di lavoro, del reddito in età anziana, sicurezza finanziaria, sicurezza dei mercati. Lo Stato viene potenziato per diventare lo strumento principale di questa stabilità. Obiettivo comune è generare un nuovo tipo di capitalismo senza rischi».
Per spiegare il boom del dopoguerra è essenziale il deficit-spending dello sforzo bellico. Ma la crescita poderosa che continuerà dopo la fine del conflitto è possibile grazie alla nuova sicurezza che è l’impalcatura durevole del New Deal. Mai prima di allora si era chiesto e si era atteso così tanto dallo Stato.
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