Quel che resta da immaginare

In pochi mesi abbiamo vissuto ogni scenario fantascientifico e “Black Mirror” è ormai realtà. Ma la storia continua
di Marino Niola
La nostra vita è un ponte sospeso tra due pilastri che si chiamano passato e futuro. Se viene a mancare il primo, il nostro presente diventa un cammino cieco. Se invece viene a mancare il secondo la nostra esistenza ci appare come una strada senza uscita. Ed è proprio la sensazione che abbiamo adesso che la pandemia ha fatto ammalare il tempo. E ci ha nascosto il futuro. In realtà, l’idea di un collegamento a doppia corsia tra la memoria e la previsione, tra ciò che fu e ciò che sarà, abita da sempre l’immaginario di tutte le culture umane. Come ci ha insegnato Claude Lévi-Strauss, il più grande degli antropologi, le società si dividono in due categorie. Da una parte quelle che immaginano il tempo come una linea retta che corre irreversibilmente in avanti e accumula conoscenze, esperienze, competenze. Cioè quel che chiamiamo progresso, che significa proprio andare dritti. Dall’altra ci sono le comunità che vivono e pensano ciclicamente. Per loro l’esistenza, sia dell’individuo sia del mondo, è un percorso circolare, fatto di corsi e ricorsi, di reset che permettono ogni volta una nuova partenza.
L’eterno ritorno è un modello che apparteneva al mondo contadino ed appartiene tuttora a quei popoli a bassa intensità tecnologica che non hanno abbastanza carburante per emanciparsi dai ritmi della natura. Invece per noi, eredi della tradizione ebraico-cristiana e figli della tecne , la vita è una corsa infinita, con l’innovazione e lo sviluppo come motori. Almeno fino al lockdown.
L’emergenza Covid, infatti, con il suo carico di incognite, con la sospensione forzata del bioritmo sociale ed economico, è come se avesse accostato i due modelli fino al cortocircuito. E così ora siamo costretti a progettare un riavvio. Non a caso la parola più ricorrente ai tavoli dove si sta programmando la ripartenza del nostro Paese è Restart . Che non è un semplice stop and go , ma qualcosa che ha il carico emotivo, quasi l’attesa messianica, di un nuovo inizio. Una palingenesi che cancelli gli errori del passato, con le loro derive, la disoccupazione, l’inquinamento, l’eccesso di diseguaglianze, la disparità di genere, il digital divide, per proiettarci nel domani.
Un modo nuovo per affrontare un dilemma antico quanto il mondo. Gli uomini, infatti, si sono posti da sempre il problema di non perdere il filo che unisce passato, presente e futuro come i grani di un rosario. In tempi lontani lo facevano con l’aiuto della religione, della magia, della filosofia, della mitologia. Oggi si è aggiunto l’apporto decisivo della scienza, che offre nuove risposte, ma al tempo stesso moltiplica le domande.
Gli antichi si affidavano a figure di sacerdoti, di veggenti, di visionari capaci di vedere attraverso le cortine del tempo. E avevano affinato sofisticatissime tecniche di lettura dell’avvenire, prerogativa di specialisti del confine tra naturale e soprannaturale. Come gli astrologi che leggevano nelle stelle i segni di quel che stava per accadere. O gli àuguri, dalla radice aug , aumentare, che intravvedevano nei buchi temporali le chance positive, le possibilità di crescita. Oggi diremmo di augmented reality . Oppure i profeti, letteralmente quelli che parlano in anticipo sugli eventi, che pre-vedono e pre-annunciano quel che accadrà. È il caso dei profeti dell’Antico Testamento, che vaticinano in nome di Yahweh e rendono manifesti i suoi disegni. Parenti stretti degli oracoli, autentici megafoni degli dei, che facevano risuonare la loro parola nel corpo e nella voce di mediatori celebri come la Pizia, sacerdotessa di Delfi o la Sibilla. E infine gli indovini, da in-divinare, che il contatto con il divino lo portavano scritto nel nome. È il caso di Calcante, nato dalla penna di Omero, che riferisce agli eroi dell’Iliade quel che va sacrificato ai numi perché aprano ai Greci le porte del futuro. O di Tiresia, che prevede il destino tragico di Edipo. Anzi, lo sente dolorosamente nella carne. Perché, come diceva il grande poeta americano Thomas S. Eliot, il vecchio cieco “pre-soffre” quel che accadrà al giovane re di Tebe, che ha ucciso il padre, cioè il suo passato, e proprio per questo non può avere nessun futuro.
Ma anche le discese agli Inferi, i viaggi mitologici nel regno dei morti di Ulisse e di Enea, erano un modo per calarsi nelle viscere del tempo, nelle profondità del prima, per vedere chiaro il disegno del dopo. Lanciando così un ponte fra due epoche come tra le due sponde del fiume. Per la stessa ragione le odissee galattiche della fantascienza, che si misurano in anni luce, sono degli andirivieni spaziali e temporali, dei ritorni al futuro che trasformano il presente in passato. In questo momento siamo come i personaggi del mito. Con il compito di ricostruire il pilastro dell’avvenire che l’emergenza ha sgretolato per gettare, anzi progettare, un nuovo ponte. Verso la rinascita.
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