di Fulvio Paloscia
Da “violinista pop” a guida di una presa di coscienza “sindacale” degli artisti durante il lockdown, Alessandro Quarta è un musicista che non smette di far parlare di sé.
Perché i giovani lo amano quasi fosse un Jimi Hendrix degli Stradivari — anche quando suona classica pura — e perché nel momento più duro della pandemia, ha fatto circolare una petizione firmata da migliaia di persone, e ha scritto a Conte stigmatizzando il silenzio del governo sulla crisi della cultura. Stasera (21,30) alla Versiliana di Marina di Pietrasanta — insieme ai solisti d’Orchestra da Camera di Bruxelles, ai musicisti di Mus-e Italia e alla cantante Eugenia Armisano — suona per raccogliere fondi per le famiglie versiliesi messe in difficoltà dal coronavirus, su invito di Michael Guttman, ospite di “Pietrasanta in concerto”.
Arriva alla Versiliana mentre imperversa la polemica sul negazionismo, poi ritrattato, di un versiliese d’adozione: Andrea Bocelli.
«Mi ha fatto male il fatto che un artista come lui, che non credo abbia problemi economici, si sia lamentato a fronte di famiglie che la pandemia ha lasciato davvero prostrate, vuoi per la perdita del lavoro, vuoi perché hanno visto loro cari morire senza poterli assistere, senza abbracciarli un’ultima volta.
Ho trovato le sue frasi offensive, dette peraltro in una sede politica, come se stesse parlando per tutti».
Tra i tanti colpi bassi, la pandemia ha avuto anche un “merito”: la riflessione generale sui lavoratori dello spettacolo, dal sommerso al precariato ai tanti che prestano servizio dietro le quinte, dei quali non si parla mai, ma che sono determinanti per la riuscita di un concerto, di uno spettacolo.
«Credo purtroppo che questa attenzione sia già morta. Quando sento che in molti sperano di tornare al mondo com’era prima del Covid, in cuor mio mi auguro di no, ma purtroppo sarà così. I 600 mila lavoratori dello spettacolo sono una grande azienda che produce il 16 per cento del pil: riappropriarsi della normalità significa ripiombare in quegli stessi problemi che affliggevano la categoria, dei quali è efficace metafora il direttore d’orchestra che sale sul podio e si prende il 70 per cento degli applausi. Il resto, esiguo, va all’orchestra. Io penso che dovrebbe essere il contrario. Una grande bacchetta fa la differenza interpretativa, certo, ma l’orchestra potrebbe suonare anche da sola».
Quindi la battaglia è persa?
«Le defaillance di tante persone importanti, l’assenza di un senso di comunità, sono legate alla mancanza di una cultura di base. E poi, se la legge è uguale per tutti non capisco perché nelle discoteche l’assembramento è tollerato, così come nelle piazze delle città, e nei teatri invece i divieti sono assoluti. Io voglio che la salute venga tutelata, ma in modo congruo ed equo: dopo tre mesi di lockdown non possiamo fare finta di nulla, ma dobbiamo essere ancora più combattivi. In tutti i settori della vita. E vorrei anche che il ministro Franceschini capisse che la parola Netflix va d’accordo con le serie tivù, ma con la musica non ha niente a che fare: se il suono del mio violino, un Alessandro Galliano del 1763 con vernice Stradivari, deve passare per uno smartphone, che motivo c’è che io lo suoni? Mentre dal vivo, è richiesta la grande competenza di un tecnico che appartiene a quelle categorie “nascoste” ma necessarie, vitali».
A Pietrasanta eseguirà Bach, Piazzolla e Jobim. Che legame c’è tra i tre?
«Li considero pittori in musica, capaci di farci vedere i suoni. E anche io dipingo: il violino è il mio pennello, le emozioni i miei colori, l’aria la mia tela. Bach è l’apoteosi della musica, una specie di immensa cassetta degli attrezzi dove c’è tutto, il prima e il dopo. Piazzolla un genio ben aldilà del tango argentino: nella carnalità e nella nostalgia della sua musica si sentono le origini italiane.
Jobim ha reso semplice la complessità del suono brasiliano».