La priorità è consolidare il polo senese

 

 

Roberto Barzanti

Dal Comune di Siena è stato annunciato nelle sue linee portanti il cosiddetto progetto “Arte al Centro”: al riguardo ho espresso perplessità e domandato chiarimenti sull’impostazione complessiva. Quando sarà tradotto in “accordi” si potrà meglio capirne impatto e congruità, e sarà allora possibile esprimere un giudizio: finora è stato deliberato uno sconto su biglietti i cumulativi di ingresso ad alcuni musei. Si tratta di un’iniziative da non ingigantire ma contiene elementi che si prestano a considerazioni di ordine generale. Se si promuove, come è stato proclamato, una “Santa Alleanza ”– in questo caso tra Firenze (Galleria degli Uffizi, Siena e Perugia) – è bene che tutti i soggetti partecipi abbiano carte valide da giocare. Non è questione di difforme “colore politico” delle amministrazioni dei centri o delle città che intendono collegarsi a scopo di una promozione, che, prima di essere a carattere turistico, dovrebbe avere basi e obiettivi culturali. Pare davvero strano che l’amministrazione comunale di Siena abbia di recente rifiutato di stringere o di rilanciare un accordo con la Fondazione Musei Senesi e, dunque, con numerosi centri della propria provincia, per andare invece a stringere un patto finora fumoso e vago con entità così diverse e di peso non comparabile. Gli Uffizi sono il grande museo di fama internazionale che sappiamo, fin troppo frequentato da masse di turisti “mordi e fuggi”; la Galleria Nazionale di Perugia è il più importante museo dell’Umbria, che elabora una programmazione attenta al proprio patrimonio. Siena rischia di essere il partner più povero, se si limiterà a offrire sostanzialmente il Santa Maria della Scala, che purtroppo resta uno stupendo  contenitore vuoto e non potrà certo competere con Firenze e Perugia se punta principalmente sulla preannunciata esposizione della collezione Spannocchi, piccola e settoriale parte della ben più importante Pinacoteca Nazionale, destinata a rimanere, ahimè, un museo a parte, ancor più isolato, essendo stato sciaguratamente accantonata l’idea del suo trasferimento negli immensi spazi del Santa Maria della Scala. Pur prendendo atto con soddisfazione – sul Corriere Fiorentino del 10 luglio scorso – del rilancio di una prospettiva da tempo immersa nelle nebbie, facevo notare che la priorità essenziale per sostenere un nuovo modo di visitare musei e conoscere opere d’arte, più lento e più curioso, è consolidare la propria offerta anche a scala territoriale. Non c’è, infatti, contraddizione alcuna tra curare al meglio la propria “identità” (parola che uso con circospezione virgolettandola) e stipulare mirati accordi o vantaggiose convenzioni in chiave interregionale, nazionale e, più ancora, europea. Il progetto abbozzato appare del tutto sbilanciato sul versante commerciale. Che si sia in questa fase è confermato del resto dalla dichiarazione del sindaco Luigi De Mossi, nella quale si legge, tra l’altro, che, in accordo con  il direttore Eike Schmidt, «si è dato il via alla costituzione di tavoli di lavoro di rilievo politico-istituzionale al fine di delineare in modo congiunto un quadro di azioni funzionali e interventi integrati in campo turistico, in particolare formulando e valorizzando pacchetti turistici ad hoc capaci di migliorare l’appeal delle destinazioni turistiche e di prolungare il soggiorno dei visitatori nei rispettivi territori». Gravi ritardi si registrano: il conferimento al Santa Maria della Scala della veste di un’autonoma Fondazione di partecipazione poteva già essere andato in porto. Non essersi battuti con energia per ottenere il trasferimento della Pinacoteca (in una sua nuova articolazione) negli immensi spazi del Santa Maria resterà un’occasione storica colpevolmente perduta. E la responsabilità, beninteso, non è solo del ceto dirigente di oggi. È anche del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo e di quanti hanno disperso le erogazioni  senza accordare priorità al fulcro di un sistema distrettuale da costruire gradualmente. Perché non tentar di riaprire il dossier prospettando una convenzione da stipulare con una Pinacoteca riorganizzata e tirata fuori dal mucchio del cosiddetto Polo museale toscano? La concessione al Santa Maria della preziosa collezione Spannocchi non è neppure un consolante surrogato. L’altro obiettivo da realizzare è l’ampliamento del Museo dell’Opera del Duomo, che si attorciglia in ambienti del tutto inadeguati per le opere che contiene: al culmine la Maestà di Duccio. I contigui locali dell’Istituto Monna Agnese sarebbero la sede ideale per un nuovo e ammodernato percorso: le estenuanti trattative sull’acquisizione andrebbero concluse con generosa lungimiranza. È onesto riconoscere che Opera Laboratori Fiorentini ha fatto un lavoro notevole conciliando intelligentemente aspetti commerciali e rigore filologico. Non si capisce perché si sia deciso di rescindere un fecondo rapporto, magari da rivedere ma non da cancellare. Né l’allontanamento di Pitteri è stato convincente. Quanto alle mostre in arrivo hanno il difetto di non scaturire da una produzione ordita con criteri scientifici e promuovendo disponibili apporti locali, in primo luogo universitari,  di grande livello. L’elenco dei rischi all’orizzonte potrebbe allungarsi. Quanto agli interventi strutturali in corso al Santa Maria, il finanziamento (esiguo) di circa 6 milioni dipende da somme derivanti dal progetto di valorizzazione della via Francigena (sancito con un accordo tra Siena, Monteriggioni, San Gimignano e Lucca), da risorse reperite dal Comune di Siena nelle pieghe del suo bilancio e da aggiunte che la Regione è riuscita a destinare di recente, grazie all’iniziativa della vicepresidente Monica Barni: interventi tutti avviati e predisposti dalla precedente amministrazione, ripresi opportunamente. Il rimprovero mosso alla “sinistra” che ha governato Siena di non aver definito in materia di gestione del patrimonio artistico intese concordate con i Comuni del territorio è del tutto ingiustificato. La rete dei piccoli musei è stata inventata dalla “sinistra”, su iniziativa della Provincia, e a ritirarsi dalla Fondazione sono stati gli attuali amministratori di Siena: con la conseguenza di renderne l’offerta meno finalizzabile a dilatati e più compresivi soggiorni. Il Comune di Siena avrebbe semmai dovuto prender parte attiva alle revisioni ritenute praticabili e utili. In una fase nella quale non si punta più ai musei di vecchio stampo e si sta imboccando la strada di luoghi misurati, immersi nell’ambiente, spazi aperti disegnati per concezione nuova del rapporto tra storicità e creatività contemporanea, tra vita quotidiana e formazione.