Quando Berlinguer raccontava “il colpo di Stato dei partiti”.

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di Dario Fo

I partiti non fanno più politica”. Questo è il tormentone che oggi ogni cittadino italiano disgustato per l’andazzo sciagurato che è alla base della crisi totale di cui siamo testimoni, ripete ormai da anni come un’ossessione.    Ebbene, c’è da sussultare per lo sballo, nello scoprire che questa è la stessa sentenza espressa da Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista, in un’intervista a Eugenio Scalfari del 1981, cioè 34 anni fa.    Così inizia il suo dialogo con il direttore di Repubblica, a cui aggiunge: “I partiti hanno degenerato e questa è l’origine dei malanni d’Italia”.    Naturalmente il segretario tiene fuori dal gruppo dei responsabili di tanto sfacelo il partito che rappresenta, cioè il Pci. Tant’è che Scalfari, provocatoriamente, gli chiede: “Perché non ha nominato il Pci? Forse che la passione per la politica non è finita nel suo partito?”. “La passione è finita? Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti”.    ATTENTI, qui Berlinguer va giù davvero pesante, anticipando in pieno la condizione che noi oggi stiamo vivendo. Egli infatti dichiara: “I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune”.    E qui guardiamoci in faccia e chiediamoci: noi questo discorso ce lo ricordavamo o è come al solito passato nella categoria dell’oblio totale?    E alludendo brutalmente alla Dc e al Partito socialista di Craxi e agli scissionisti del Partito socialdemocratico, Berlinguer prosegue: “La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un ‘boss’ e dei ‘sotto-boss’. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. […]”.    E qui Scalfari interviene provocatorio: “Insomma, secondo lei, la degenerazione dei partiti è [la causa] essenziale della crisi italiana…”. E senza prender fiato Berlinguer lo blocca con una dichiarazione da brivido: […] “I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai Tv, alcuni grandi giornali. […] Insomma, tutto è già lottizzato e spartito”.    A ‘sto punto permettetemi un colpo di teatro davvero impossibile. Immaginate che per rompere il ritmo stabilito da questo dialogo, avvenga una metamorfosi da follia, all’immediata. Berlinguer e Scalfari si ritrovano all’istante uno di fronte all’altro, non trent’anni fa, ma in questo esatto momento, cioè alla fine di gennaio 2015. Berlinguer viene pregato di affacciarsi un attimo da lassù, dalla balconata più alta, nell’emiciclo del Parlamento. Egli resta per un attimo senza fiato: si rende conto che il Partito comunista non c’è più. Al suo posto vede l’attuale Partito democratico che sta al governo con il segretario Matteo Renzi, grazie all’appoggio plateale di Silvio Berlusconi.    Berlinguer chiede a Scalfari: “Ma chi è questo Berlusconi?”. “Ci vuole troppo tempo, dopo le dirò tutto”.    Su uno schermo al centro della Camera, il segretario del Partito comunista vede la propria immagine proiettata e, oltre al viso, riconosce la propria voce che sta proseguendo lo stesso discorso agli onorevoli presenti:    [Mi rivolgo a voi per constatare che ormai] tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere, vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan a cui si deve la carica.    Qualcuno dei deputati esclama: “Ma che sta succedendo?! Chi ha avuto ‘sta bella idea di riproporci Berlinguer?”.    Ma l’immagine del segretario del Pci continua imperterrita a denunciare: [E come si ottengono qui, in questa legislatura, i favori, i privilegi?] Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti. “BASTAAA! BASTAAA! – urlano in gran numero – Spegnete quel proiettore!”.    Berlinguer si è lasciato cadere su una poltrona e porta le mani al viso: “Ma davvero quello sarebbe il nostro partito oggi? Ma cosa è successo, chi ha causato questo disastro?”.    E Scalfari: “Beh, non direi disastro, dipende sempre da che punto di vista si giudica un fenomeno dettato dalle nuove condizioni sociali, politiche…”. Intanto laggiù è scoppiata una bagarre: gente che si insulta, che lascia l’emiciclo. Piano piano la sala si svuota e il presidente urla: “La seduta è sospesa! Si riprende domani!”. Se ne va anche Scalfari. Berlinguer rimane lassù solo, sempre tenendosi il viso fra le mani: “Non riesco a capacitarmi, questo non è il mio partito, ditemi che è uno scherzo, che l’avete fatto solo per gioco. Non c’è nessuno che mi risponda?!”. “Mi dispiace – dice un inserviente – onorevole bisogna che esca anche lei, la prego… Si sente male?! Venga, l’accompagno”.