Profumo e Padoan destini incrociati intorno a Mps

IL CASO
Ex ministro e manager legati alla sinistra finiscono entrambi nel mirino dei 5 Stelle
di Giovanni Pons
MILANO — I destini incrociati di Alessandro Profumo e Pier Carlo Padoan riempiono le cronache di questi giorni e scaldano l’arena politica. A soffiare sul fuoco è il Movimento 5 Stelle che ieri ha chiesto le dimissioni di Profumo dal vertice di Leonardo e il giorno prima aveva stigmatizzato la cooptazione nel cda Unicredit come presidente in pectore di Padoan, deputato del Pd eletto nel collegio di Siena ed ex ministro del Tesoro. Entrambi, nelle loro funzioni, hanno avuto molto a che fare con il dissesto di Mps. Padoan, da ex ministro del governo Renzi, tra il 2014 e il 2016 si era occupato del salvataggio della banca senese, non essendo stata sufficiente la gestione di Profumo e Fabrizio Viola a rimettere in sesto i conti della banca. L’ex presidente e l’ex ad giovedì sono stati condannati dal Tribunale di Milano a sei anni di reclusione per aggiotaggio sui bilanci 2012-2015 e per false comunicazioni sociali per la semestrale 2015. Profumo si dimise nel 2015 ma Viola rimase e fu silurato dal ministro Padoan (si dice con una telefonata) nell’estate successiva quando, in seguito a un incontro con Jamie Dimon, numero uno mondiale di Jp Morgan, Renzi decise che Mps avrebbe affrontato un nuovo aumento di capitale garantito dagli americani. Ma per presentarsi agli investitori avevano bisogno di un nuovo management e quindi via Viola e dentro Marco Morelli. La mossa fu talmente violenta che il successore di Profumo alla presidenza, Massimo Tononi, sbatté la porta e si dimise pure lui in disaccordo con Padoan. L’aumento di capitale poi fallì, a fine 2016, insieme al governo Renzi, e Padoan dovette salvare dal tracollo il Monte nel luglio 2017 con 5,4 miliardi di soldi pubblici.
Nell’aprile 2017 le strade di Padoan e Profumo si incrociano ancora, quando il Tesoro nomina il manager alla guida operativa di Leonardo. Ma per farlo il ministro dovette modificare la direttiva Saccomanni che prevedeva l’ineleggibilità nelle aziende pubbliche per chiunque fosse stato anche solo rinviato a giudizio per delitti in materia bancaria e finanziaria, e stringenti criteri di onorabilità. La norma venne cambiata stabilendo che per l’ineleggibilità fosse necessaria una sentenza di condanna definitiva. Comunque l’assemblea di Leonardo, diversamente da quella dell’Enel, non ha mai recepito la “clausola etica” di Saccomanni. Ecco perché oggi, a valle del giudizio di primo grado, Profumo non ha alcun obbligo di dimissioni, anche se i 5 Stelle invocano motivi di opportunità vista la pesantezza della sentenza.
Dal canto suo Padoan, nei giorni scorsi, è tornato sul luogo del delitto. Accettando la nomina in Unicredit, pur avendo avviato le pratiche per dimettersi da deputato, passa da un incarico all’altro senza aver posto in mezzo il cosiddetto periodo di “raffreddamento” (cooling-off secondo le normative internazionali) volto a salvaguardare la concorrenza di mercato. Tra l’altro in Unicredit tornerà a occuparsi di Mps essendoci in corso tra i due gruppi contatti con la banca senese per un’eventuale acquisizione.
https://www.repubblica.it/