Maria berlinguer
roma
Il suicidio medicalmente assistito è diverso dall’eutanasia. Il Comitato nazionale per la bioetica apre per la prima volta alla legalizzazione del suicidio assistito ma si spacca con 13 voti a favore e 11 contrari. Con una formula volutamente cauta il Comitato di bioetica ha affrontato ieri la delicatissima questione che da 12 anni almeno, cioè dalla morte di Piergiorgio Welby, divide l’opinione pubblica e la politica, in seguito all’ordinanza della Corte Costituzionale della scorso anno, intervenuta su sollecitazione della Corte di Assise di Milano in merito al caso di Marco Cappato e alla legittimità dell’articolo 580 del codice penale che prevede il reato di istigazione al suicidio o aiuto al suicidio. L’esponente radicale è stato infatti rinviato a giudizio per aver accompagnato in Svizzera dj Fabo, Fabiano Antoniani, divenuto paraplegico e cieco dopo un incidente stradale. Dj Fabo è morto con il suicidio assistito il 27 febbraio del 2017. Cappato è accusato di aver «agevolato» il suicidio di Antoniani.
La Consulta si è riunita lo scorso ottobre per discutere della questione di costituzionalità ma ha sospeso la decisione, rinviandola al prossimo 24 settembre. La Consulta ha inoltre invitato il Parlamento a intervenire a livello legislativo entro l’anno. Un invito caduto nel vuoto. Come ha sottolineato lo stesso Cappato che ha ringraziato il Comitato di bioetica che ha votato a favore che la minoranza contraria perché «al contrario del Parlamento italiano ha avuto il coraggio di dibattere e scegliere», ha detto.
Ma torniamo al parere del Comitato. Il documento «intende fornire elementi di riflessione a servizio delle scelte della società che intende affrontare una questione come quella del suicidio assistito, che presenta una serie di problemi e interrogativi a cui non è semplice dare una risposta univoca». Il comitato ammette che sono emerse «divergenti posizioni». Ma conferma la necessità di fare chiarezza sia distinguendo il suo suicidio assistito dall’eutanasia sia fornendo alcune raccomandazioni condivise. Il problema, viene sottolineato è che «nell’ordinamento italiano è assente una disciplina specifica delle due pratiche (suicidio e eutanasia, ndr), trattati entrambi come «aspetti delle figure generali dei delitti contro la vita».
Ma è legittimo poter decidere quando terminare la propria e interrompe la sofferenza? Alcuni membri del Cdb sono convinti che non lo sia. «La difesa della vita deve essere affermata come principio essenziale in bioetica», sottolineano confermando l’assoluta contrarietà a ogni forma di legalizzazione. La maggioranza dei membri del comitato invece è favorevole alla legalizzazione del suicidio medicalmente assistito, partendo dal presupposto che il valore della tutela della vita vada bilanciato con altri beni costituzionalmente rilevanti, quali l’autodeterminazione del paziente e la dignità ella persona.
Il parere del comitato contiene anche diverse raccomandazioni condivise. Innanzitutto invita ad aprire un dibattuto anche parlamentare, che possa coinvolgere i cittadini nel totale rispetto delle opinioni di tutti. Poi l’impegno di fornire cure adeguate ai malati inguaribili in condizioni di sofferenza, infine la necessità di fornire ai pazienti un’informazione capillare in merito alle cure palliative. «È un documento deludente, ognuno potrà trovarci la posizione che più gli aggrada e si assisterà alla solita descrizione della contrapposizione tra cattolici e laici, ma se si vuole, occorre tenere aperta la discussione perché è in gioco il concreto futuro dell’assistenza alle persone», avverte il biogenetista dell’Università cattolica, Adriano Pessina. —