Prestiti e rischi Il futuro delle mostre

Opere bloccate in attesa di rimpatrio. Eventi cancellati o da ripensare Così il virus cambia la programmazione delle esposizioni nel mondo
di Chiara Gatti
Una teleconferenza di mezza giornata fra la direzione del MoMA di New York e quella della Tate di Londra. All’ordine del giorno: come e quando riaprire, precauzioni, strategie e nuovi contenuti. Così, da un lato all’altro dell’oceano, i musei si parlano per superare insieme l’emergenza. E per aiutarsi gli uni con gli altri. «È diventato un ecosistema globale » dice Paola Antonelli, senior curator del celebre museo newyorchese, «in cui gli istituti si tendono la mano con spirito solidale». In questi giorni di lockdown, solidarietà significa soprattutto prorogare i prestiti, confermare quelli per il futuro e non inasprire troppo la burocrazia fidandosi delle misure di sicurezza messe in pista dai colleghi. La National Gallery di Washington e il Paul Getty di Los Angeles hanno appena avallato la proroga per i loro capolavori esposti a Milano nella grande mostra su Georges de La Tour che riaprirà il 28 maggio: doveva chiudere il 7 giugno, ma rimarrà visitabile invece fino al 27 settembre. Il Louvre ha comunicato che lascerà a Roma l’Autoritratto con un amico esposto nella mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale fino al 30 agosto. La Royal Academy di Londra – pur annunciando la cancellazione delle mostre di Cézanne e Angelica Kauffman – ha ottenuto dalla collezione danese Ordrupgaard la conferma per il rilancio di Gauguin e gli impressionisti, rinviando poi solo di un mese il progetto dedicato a Tracey Emin e al suo amore per Edvard Munch, in partnership con il museo di Oslo. Un gioco di squadra. Anche se qualcuno freme un po’ per i suoi tesori sparsi nel mondo.
La Fondazione Solomon R. Guggenheim attende fiduciosa il rientro delle 50 opere top, da Van Gogh a Picasso, della collezione Thannhauser bloccate al Palazzo Reale di Milano dalla fine della mostra, chiusa in coincidenza con l’inizio della quarantena. Rientreranno in agosto, compatibilmente con la possibilità di fare viaggiare i courier e i restauratori statunitensi che devo monitorare il rimpatrio delle casse. Ma la direzione del museo sulla 5th Avenue commenta con aplomb: «Continueremo a lavorare con altre istituzioni culturali per mostre come questa, con le stesse procedure standard di conservazione e collaborazione».
Nessuno stress da dopo-virus? Simonetta Fraquelli, consultant curator di molti musei internazionali (ha firmato l’ultima super antologica di Modigliani alla Tate Modern) conosce le dinamiche della macchina organizzativa e guarda alle mostre di domani con ottimismo: «Abbiamo tutti voglia di ripartire. La mostre saranno solo riprogrammate, ma continueranno a esserci». La Barnes Foundation di Filadelfia aprirà la mostra su Soutine e de Kooning, che lei sta co-curando, la prossima primavera, come già previsto. Lo stesso progetto avrebbe dovuto essere accolto dal Musée de l’Orangerie di Parigi a ottobre ma, a questo punto, arriverà in coda alla tappa americana. Dunque non è un addio ai grandi eventi. Ma solo un posticipo di stagione. Il problema resterà la gestione dei costi. Calcolando le spese stellari che ogni appuntamento blockbuster richiede, fra trasporti, assicurazioni, cataloghi, allestimenti, forse i tempi di fruizione dovranno essere allungati per permettere incassi minati dal distanziamento e dai flussi contingentati.
La Tour, blindata dopo appena tre settimane dall’inaugurazione con un attivo di 20 mila visitatori, sognava record da oltre 150 mila ingressi che oggi, complici le prenotazioni obbligatorie, la mancanza di scuole e di turisti, difficilmente saranno raggiunti. Nonostante la proroga. «Ma siamo certi di aver bisogno delle mostre per ripartire?».
Emanuela Daffra, direttrice del Polo Museale della Lombardia, lancia la provocazione. E, a chi si lamenta con il Ministero per i famosi quattro mesi di tempo necessari per l’autorizzazione al prestito delle opere (troppi per un restart immediato della cultura), spiega come i musei autonomi, come la Pinacoteca di Brera o gli Uffizi, non siano soggetti a questi limiti e che esistono tempi tecnici per le dovute valutazioni.
James Bradburne, direttore di Brera (accessibile dai primi di giugno), non pensa alle mostre ma alla valorizzazione delle collezioni. «Le opere sono fragili e il periodo di prestito non potrà superare i limiti conservativi ». Neanche per tamponare le perdite dei nuovi adeguamenti sanitari. Proprio lui lascerà però fino a ottobre La musa metafisica di Carrà alla mostra di Forlì Ulisse. L’arte e il mito. Organizzatissime, le Gallerie dell’Accademia di Venezia – che non avevano chiuso neppure con l’acqua alta di novembre – sono pronte a riaprire martedì 26, presentando la Pala di Sant’Anna di Jacopo Bassano che inaugura una nuova sezione del percorso. Grandi mostre, niente. Anish Kapoor, previsto per la Biennale del 2021 (quella d’Arte è rinviata al 2022), salterà all’anno dopo insieme a tutto il palinsesto lagunare. Nel frattempo, solo eventi virtuosi con singoli pezzi in arrivo da musei europei. Il protocollo di sicurezza è ferreo: pubblico ridotto a un quarto, 130 persone in tutto, per 20 metri quadri di spazio a testa. «Non sarà una pesca miracolosa – commenta ironico il direttore Giulio Manieri Elia – ma il museo costa anche quando è chiuso. Per cui preferisco che le opere patrimonio della comunità restino visibili».
Paola Antonelli del MoMA conferma la stessa doppia linea: prevenzione e missione civica. «La crisi deve farci ripensare al ruolo sociale del museo come istituzione».
La sua direzione ha creato un Crisis Management Team che si occupa di tutte le forniture per la profilassi e ha assunto persino un biologo per una consulenza fissa. Peccato che, dall’altra parte, siano stati falciati drasticamente i contratti agli educatori della sezione didattica. Che continuerà, invece, sul web in salsa virtuale come testato nei giorni della reclusione. Magra consolazione.
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