La mossa del cavallo: il testo ancora non c’è, ma Matteo Renzi dal palco dell’Assemblea nazionale di Italia viva, circondato da uno zoccolo duro sempre più residuale, ma agguerrito, annuncia il titolo del suo prossimo libro. “Non è quella di agosto, sarà la prossima”, chiarisce. Quella che tutti si aspettano? Un rocambolesco salto nello schieramento avverso per appoggiare in maniera più o meno esplicita Matteo Salvini? Tanta strategia e tanta prospettiva sono decisamente troppo per l’ex premier. E sono troppo pure per l’omonimo leader leghista, che si dibatte in una crisi ancora non tanto rovinosa da essere definitiva, ma sempre più conclamata. I due, però, qualche favore sottobanco se lo fanno sempre.

Sarà un caso, ma davanti alle colonne ricostruite di antiche chiese ieri si vedeva passare di nuovo Antonio Angelucci, il forzista più vicino a Denis Verdini, l’anello di congiunzione tra i due Mattei. Il cui ex portavoce, Francesco Sciotto, è oggi quello di Sandro Gozi, l’avamposto macroniano di Renzi in Europa. Un altro caso, un altro indizio. Maglioncino nero inedito (una scelta di campo voluta?), ennesimo viaggio in Italia in programma (in camper, come ai bei tempi degli esordi),

Renzi ha davanti due partite per dimostrare di essere vivo. Primo, le sei regioni al voto. Secondo, la prescrizione. In entrambi i dossier, le convergenze con la Lega si vedono. “Al Sud non serve il reddito di cittadinanza, serve un progetto. Al Sud serve una nuova classe dirigente e quando diciamo no a Emiliano, non diciamo no a una persona ma diciamo no al peggiore notabilato meridionale”, scandisce dal palco nell’entusiasmo generale Teresa Bellanova. Finora la sua candidatura non sembrava sul tavolo, oggi è una possibilità concreta. Con lei, l’8% è a portata di mano: dimostrare di avere i voti è essenziale per Renzi. Comunque, Iv (insieme a Calenda) metterà in campo un nome suo. Quello che potrebbe far perdere il governatore, visto che i Cinque Stelle hanno il loro e Raffaele Fitto svetta nei sondaggi. La partita in casa centrodestra è complessa. Salvini ora non vorrebbe lasciare la Puglia a Fratelli d’Italia e a Giorgia Meloni, nonostante gli accordi. Ma non ha un nome altrettanto forte. A proposito di patti variabili. Perché il leader del Carroccio aveva deciso di presentare uomini suoi nelle Regioni rosse (Emilia-Romagna, Marche e Toscana), sognando la sconfitta di Bonaccini e dando per persa la Regione dell’ex premier. Nei dialoghi con lui era sempre venuta fuori l’idea che contro il candidato del centrosinistra (ma voluto da Renzi), Eugenio Giani, il centrodestra ne avrebbe presentato uno debole. Qualche ripensamento ci sarebbe, ma un nome forte Salvini non ce l’ha.

“A Bonafede dico fermati finché sei in tempo perchè in Parlamento votiamo contro la follia sulla prescrizione. Patti chiari, amicizia lunga. Senza di noi non avete i numeri al Senato e forse neanche alla Camera”. Con queste parole, il treno contro la prescrizione è partito. Mentre il M5S fa muro, l’agitazione è massima in casa Pd. Al Nazareno chiedono un intervento del premier, Giuseppe Conte. Iv a Palazzo Madama i numeri per mandare sotto il governo sulla proposta di legge Costa che abroga la norma del Guardasigilli ce l’ha. Senza contare che al netto del rischio oggettivo per la maggioranza, Renzi si intesta un tema che i dem non vogliono lasciargli. Anche stavolta, con la gentile collaborazione di Salvini: “Pazzesco questo continuo litigio sulla giustizia: siamo pronti a sostenere qualunque proposta per ridurre i tempi dei processi ed assicurare certezza della pena, decida il Parlamento”.

Conferme a latere. Sta per arrivare in Giunta delle Autorizzazioni del Senato un’altra richiesta di processo per il capo della Lega per il caso Open Arms. Prematuro capire che posizione assumeranno i renziani, ma voci dentro Iv reputano che non ci siano gli estremi per una condanna. A questo punto, quanti sono gli indizi?