All’indomani della seconda guerra mondiale la Famiglia Artistica Lissonese, formata da pittori e artisti locali, esprimeva la necessità di aprire un dibattito culturale sullo stato dell’arte coivolgendo imprenditori del luogo e personalità critiche di importanza nazionale. Il rigore utilizzato nella composizione della giuria (vi fanno parte, tra gli altri, De Grada, Valsecchi, Argan e Marchiori), unito alla competenza e alla imparzialità della giuria stessa, forniscono i giusti presupposti per la realizzazione di un evento culturale di sicuro spessore e di portata via via più ampia. Se agli esordi (1947) la partecipazione è riservata ai soli pittori italiani, nel ’52 sono invitati anche artisti stranieri rappresentanti di molti paesi europei, e compaiono anche lavori fuori concorso di artisti già affermati. Al Comune nasce l’idea di acquistare le opere vincitrici mentre l’entità del primo premio aumenta e si moltiplicano i premi e gli omaggi da parte di enti privati. La notorietà del Premio è tale che si arriva ad accostarlo, per importanza e prestigio, alla Biennale di Venezia. L’esperienza ha termine solo nel 1967, al sopraggiungere degli anni della contestazione ed all’allentarsi delle tensioni e delle finalità che tanto peso avevano avuto all’inizio.
- Ennio Morlotti, Immagine, 1951
Da Morlotti ad Adami, i dipinti di Lissone riflettono vent’anni di storia e arte
Il primo quadro ad entrare nella collezione è Immagine (1951) di Ennio Morlotti, il secondo è Composizione (1952) di Mauro Reggiani, che nella loro diversità ben sintetizzano la temperie nazionale sviluppatasi a partire dal dopoguerra fra lo schieramento astrattista e quello neocubista, post picassiano.
Morlotti, ancora fedele alla lezione cèzanniana, stende spatolate di colore puro a definire una forma che rimane, pur nelle distorsioni e nelle segmentazioni di tratto, ben leggibile, ancora figurativa. Diversamente Reggiani propone una pittura razionale e raffinata, dove campiture nette di colore si giustappongono fra di loro a creare giochi di colore e spazio che vivono di vita propria, senza più alcun legame con la materia fisica.
Le altre opere degli anni ’50 esemplificano le diverse inflessioni che l’Informale assume nella poetica e nella tecnica di artisti italiani e stranieri. Il vincitore del Premio Lissone 1953 è Theodor Werner,di nazionalità tedesca, cosmopolita, padrone della lezione di Braque e van Dongen, e fautore della rinascita, in Germania, di un astrattismo di gusto informale. Il suo quadro, emblematicamente intitolato Contrasti, è giocato tutto sulla contrapposizione di colori puri e assenza di colore, segni negativi e positivi, materia pittorica e materiale portante.
- Renato Birolli, Ondulazione marina,1955
L’italiano Birolli vince nella successiva edizione del premio con Ondulazione marina. Birolli è artista impegnato politicamente, esponente attivo di “Corrente”, vicino a Guttuso e Cassinari.
Guarda inizialmente alla pittura espressionista di van Gogh ed Ensor, ma a partire dagli anni ’50 si avvicina alla pittura astratta francese di Bazaine e di De Stael. La tela qui esposta riflette sensibilmente il gusto di Birolli per un astrattismo di stampo naturalistico, ben diverso da quello praticato da astrattisti come Reggiani.
I lavori di Tàpies (Terre sur marron foncé, 1956 Premio Lissone 1957) e Feito indicano la strada praticata dall’Informale spagnolo, nell’impiego di una materia pittorica stratificata e raggrumata, organizzata entro una struttura morfologica solo apparentemente casuale.
- Emilio Scanavino, Frammenti 1960
Il segno tormentato di Scanavino (presente in collezione con Ecce Homo e Frammenti) si lascia deporre all’interno di fondali monocromi lasciando intuire una costante dicotomica tra caos ed ordine, ragione e sogno, costante che gli storici tendono a collegare al suo interesse per l’esistenzialismo di Bacon, Sutherland e Matta.
L’Informale assume una fisionomia ben riconoscibile nelle tele di Perilli, Vedova e Dorazio. Se la tela di Perilli (1959) documenta, di quegli anni , l’interesse e lo studio dei rapporti tra scrittura e pittura, Immagine del tempo di Vedova rievoca e denuncia, in uno stile personalissimo e mobile, la realtà e le contraddizioni del proprio tempo. Su altri binari si muove Dorazio, interessato al dato fenomenico nei suoi soli rapporti cromatici e luminosi e coerente autore di Teodora (1959) e del più tardo Tenax (1964). Una trattazione dell’Informale europeo non sarebbe completa senza l’inserimento del gruppo internazionale Cobra, qui rappresentato da una Composizione del 1956 di Karel Appel, fortemente aggressiva nell’applicazione rudimentale di colori acidi e assordanti, e guidata da una violenza gestuale che si esprime nella stratificazione di blocchi materici e nella definizione di forme curvilinee, inquietanti nella loro vaga antropomorfia.
- Karel Appel, Composizione, 1956
Espressionista ma in diversa misura è anche Andrè Marfaing, autore di una splendida tela del 1960 interamente giocata sulla rispondenza di bianchi e neri nelle loro diverse gradazioni. Il pittore francese, dopo avere assimilato la lezione di Tàpies e degli altri esponenti di “Art autre”, a partire dagli anni ’60 si sarebbe dedicato alla incisione e al disegno a inchiostro acquerellato e allo studio sistematico della produzione di Goya.
Il secondo decennio della storia del Premio è rappresentato da una produzione stilisticamente più varia, che registra bene nella sua sintesi gli umori e le sensibilità degli artisti europei, di nuovo interessati alla figurazione,alle tematiche surrealiste dell’inconscio ma anche alle nuove tecnologie ed ai mass media. Serrato si fa il rapporto ed il confronto con i colleghi americani (New Dada e Pop Art), ma l’intellettuale europeo, lungi dall’elaborare un linguaggio più popolare e riconoscibile, ribadisce la propria autonomia espressiva ed anzi rivendica piena autonomia all’atto estetico. Certamente l’uomo si rapporta ad una realtà che non è possibile ignorare, ma è comunque reiterpretabile e si può possedere secondo schemi squisitamente individuali ed arbitrari
Dufrêne con i suoi décollages applica proprio questo principio (e con lui, in diverso modo, gli altri esponenti del Nouveau Realisme Tinguely e Klein): recupera degli oggetti – in questo caso manifesti lacerati – reinvestendoli di una funzione e di un’identità completamente nuove rispetto a quelle iniziali.
In diverso modo anche Peter Klasen si riappropria di temi e motivi della comunicazione moderna di massa per stravolgerne e metterne in ridicolo il senso attraverso un semplice cambio di prospettiva.
- Valerio Adami, Camel, 1967 – Premio Lissone 1967
Gli italiani Valerio Adami e Mario Schifano analizzano il problema con un’ironia sottile che mette in imbarazzo. Adami copia la tecnica del fumetto e sceglie come soggetti gli elementi del quotidiano più banali e meno piacevoli: toilettes, casermoni edilizi, ecc.L’equivocità delle forme genera percezioni ambivalenti che disarmano e domandano e annullano la risposta.
Il quadro di Schifano va analizzato alla luce di quella che sarà la sua produzione successiva, dedicata alla analisi del messaggio pubblicitario e ai rapporti tra pittura e media popolari.
Si vuole da ultimo focalizzare l’attenzione sul raffinatissimo quadro di Sergio Romiti, bolognese, dove il tradizionale tonalismo – di marca morandiana – giocato tutto sul bianco e nero, ben si integra con la definizione di effetti dinamici e propulsivi derivanti dallo studio della tecnica fotografica.