Sale di livello la campagna anti-decreto delle Popolari per evitare la trasformazione in spa. Ora si punta anche al coinvolgimento dei dipendenti, che sarebbero immediatamente colpiti da un violento risiko bancario in termini di esuberi.
Ieri i vertici del Banco Popolare, il presidente Carlo Fratta Pasini e il consigliere delegato Pierfrancesco Saviotti, hanno inviato una lettera ai 18 mila dipendenti dell’istituto veronese per spiegare che il decreto del governo è «sprovvisto dei presupposti d’urgenza, contrario ai principi costituzionali di libertà d’intrapresa e di cooperazione e carico di effetti negativi per un Paese come il nostro privo d’investitori di lungo periodo». Per questo il Banco, insieme con l’associazione di categoria Assopopolari, si «opporrà in ogni modo» al decreto. La lettera sottolinea un punto delicato: le Popolari «continueranno a partecipare al processo di concentrazione del mercato bancario domestico, come già avvenuto in passato, anche in chiave risolutiva di singole crisi aziendali e senza che la forma giuridica costituisse un ostacolo al buon esito di quelle operazioni». Insomma non è l’essere coop che impedisce integrazioni anche di gruppi in crisi, come adesso lo sono Carige e Mps.
La linea emersa giovedì dal summit delle Popolari è contrastare il dl sia dal punto di vista legale sia in sede di conversione in Parlamento, dove possono contare su un fronte bipartisan di sostenitori. Ad essere coinvolti nella trasformazione in spa entro 18 mesi sono dieci istituti con oltre 8 miliardi di attivi: Banco Popolare, Bpm, Ubi, Bper, Creval, Pop. Etruria, Pop. Sondrio e le non quotate Pop.Bari, Pop.Vicenza e Veneto Banca.
Per cercare di modificare il testo si farà leva sul progetto di autoriforma cui lavorano da tempo Angelo Tantazzi, Piergaetano Marchetti e Alberto Quadrio Curzio. Un nuovo vertice di Assopopolari dovrebbe tenersi in settimana. Il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, ha aperto a possibili modifiche: «Vedo margini positivi». Tra le ipotesi di emendamento c’è il tetto al possesso azionario (si parla del 5%), così da evitare scalate ostili, e il varo del voto multiplo per i soci storici. La strada comunque è in salita, anche perché per riforma s’è schierato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.
Ma il mondo cooperativo si interroga anche sui sospetti di speculazione sui titoli. La notizia del Corriere della Sera del faro acceso dalla Consob sugli acquisti ingenti di titoli di Popolari prima dell’annuncio del decreti realizzate da operatori di stanza a Londra ha provocato forti reazioni: «Le Popolari possono essere soggetti a future scalate o future aggregazioni di gruppi bancari esteri che in Italia, si trovano un territorio molto favorevole», ha detto Gianluigi Longhi, consigliere della fondazione pontificia Centesimus Annus, a Radio Vaticana. «Bisognerebbe verificare se c’è stata piena trasparenza delle istituzioni e se in tutto questo non ci sono state le solite fughe di notizie».
Anche per il presidente della Commissione Finanze della Camera, Daniele Capezzone, (Forza Italia) «fa molto bene la Consob a verificare se vi siano stati movimenti anomali», mentre il capogruppo leghista alla Camera, Massimiliano Fedriga, annuncia un’interrogazione: «Sembra che ingenti flussi di capitali si siano mossi da Londra. Quali sono e di chi sono i capitali che si sono mossi? Non vorremmo scoprire che sono collegati con vicinanze politiche». Sulla stessa linea il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri: «Si tratta di soldi veri che potrebbero aver arricchito gli amici degli amici. Ragione in più per non firmare il decreto di Renzi».
Fabrizio Massaro