I due volti del M5S, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, scelgono location diverse per esprimere prospettive differenti. Di Maio parla dalla sua scrivania, alle spalle la bandiera Ue e quella tricolore, indossa l’immancabile completo blu. Per il ministro degli esteri, il voto dei giorni scorsi consegna «un risultato storico» che «apre una nuova fase riformatrice». Per Di Maio «i cittadini chiedono stabilità», al di fine di «gestire i finanziamenti del Recovery fund» e «accelerare sulla ripresa». Questo è l’unico modo per ottenere il cambiamento, dice. Solo l’azione nella maggioranza e dentro il governo ai suoi occhi evidenzia «la differenza tra gli slogan e le azioni, tra le fasi fatte e le soluzioni concrete». Come a dire: è finito il tempo delle invettive, adesso bisogna governare e trovare mediazioni.
DI BATTISTA SI COLLEGA in diretta Fb in maniche di camicia e all’aria aperta. Lo fa dapprima per complimentarsi coi suoi colleghi per la vittoria sul taglio dei parlamentari. Ma è una mossa retorica, perché Di Battista ci tiene a sottolineare che «il 70% che ha votato sì al referendum non ha votato per il M5S». «Abbiamo perso dovunque – prosegue – Dove abbiamo fatto alleanze e dove non è avvenuto, dove abbiamo mostrato il volto duro e dove la nostra versione moderata». Dunque, «il problema non sono le alleanze o le formule organizzative» bensì la convocazione di Stati generali che consentano di scegliere i temi attraverso i quali il M5S possa «ritrovare la sua identità attorno a rivendicazioni e temi precisi».
Insomma: al di là dei personalismi si fanno bilanci e si tracciano linee per il futuro, ma la partita in corso riguarda la modalità di gestione degli Stati generali. Tra i parlamentari si sapeva da giorni che una volta archiviate le urne i gruppi avrebbero proceduto a tappe forzate, annunciando l’appuntamento nazionale che dovrebbe decidere come organizzare la nuova leadership che dovrebbe essere «collegiale», anche se lo statuto del M5S prevede che debba essere una persona singola a ricoprire la carica di «capo politico». La riunione tra deputati e senatori è stata convocata con questo ordine del giorno per domani alle 18 a Montecitorio, con gli eletti a Palazzo Madama in videoconferenza a causa delle norme sul Covid (e utilizzeranno una piattaforma che non ha nulla a che vedere con Rousseau e Davide Casaleggio).
FIOCCANO LE DIVISIONI e gli attacchi incrociati. Il nodo è la titolarità dei parlamentari a lanciare l’appuntamento e deciderne forme e metodi. Nel corso di questa legislatura il M5S, che manca di un organismo riconosciuto su scala nazionale, quasi per inerzia ha spostato alcune decisioni sull’assemblea alla camera. È divenuta una specie di parlamentino interno, dentro al quale confluiscono tensioni e si organizzano componenti. Come «Parole guerriere», il gruppo nato attorno a un ciclo di seminari organizzato alla camera che spinge per il passaggio dei 5S a una forma organizzativa più tradizionale.
SULLA REALE rappresentatività e titolarità di deputati e senatori a battere il tempo dei 5 Stelle che verrà esprime il suo dissenso il parlamentare europeo Ignazio Corrao: «Che siano i parlamentari nazionali, tutti nominati a differenza degli altri livelli elettorali in cui ci sono le preferenze, a discutere di riorganizzazione è inaccettabile». Corrao, da mesi in dissenso coi vertici, propone che «abbia voce in capitolo chi è stato usato, scaricato e lasciato allo sbaraglio da chi ha gestito il M5S negli ultimi tempi, ossia i portavoce locali attraverso step territoriali intermedi». Sulla stessa lunghezza d’onda Laura Ferrara, collega di Corrao a Bruxelles: chiede «un dibattito più allargato nel quale i vertici effettivi e anche quelli ombra dovrebbero mettere in discussione se stessi e il loro operato». Tra i parlamentari non manca chi, come l’ex sindaco di Mira e attuale deputato Alvise Maniero attacca «la linea del Pd a ogni costo». Per Andrea Colletti, uno dei deputati a 5 Stelle schieratisi per il No al referendum, «il problema è la mancanza di visione politica: a livello governativo il M5S ora è mera gestione del potere».
DA PALAZZO CHIGI Conte auspica che gli Stati generali siano occasione di «rilancio». Il presidente della camera Roberto Fico si schiera a favore di una «governance collettiva» dichiarandosi pronto «a dare una mano» e auspica che «gli Stati generali non diventino una guerra tra bande o una resa dei conti ma qualcosa di molto più alto».