Renato Vallanzasca mi confidò un giorno: “Pedalare stanca, ma si può essere più forti della fatica. Grazie alla tenacia, si possono valicare montagne che si credono impossibili anche a sessant’anni”. Un altro bandito, famoso si fa per dire negli anni Venti, diceva le stesse cose: usava spesso e volentieri la “spicciola” per scappare dopo ogni furto e rapina, si chiamava Sante Pollastri, e Francesco De Gregori ne fece una canzone, “due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta/un’unica passione per la bicicletta/un incrocio di destini in una strana storia/di cui nei giorni nostri si è persa la memoria”. Il campione era Costante Girardengo. Era il tempo del ciclismo “eroico”, dello scrittore Alfredo Panzini che inforca la sua bicicletta a Milano, e punta da Porta Romana alla Romagna per raggiungere la famiglia in villeggiatura, poi scriverà la sua avventura a pedali nel romanzo La lanterna di Diogene.

La bicicletta diventa emblematica anche nel secondo dopoguerra – pensate a Ladri di biciclette di Vittorio De Sica (1948), agli entusiasmanti duelli tra Bartali e Coppi che divisero l’Italia: è ancora lo sport più popolare perché del popolo, che mitizza la grande fatica, poiché la conosce, la vive, la soffre; la lentezza della bici è ancora sopportata, ma per poco.

Ormai il paese farà il salto della “grande trasformazione”, relega l’arcaicità delle due ruote mosse dalle gambe, per adeguarsi alla frenesia motoristica. Pure il ciclismo si adegua. Segue canoni diversi: la tecnologia progressivamente trasforma la bici in oggetti sofisticati, in mezzi dove leghe ultraleggere dimezzano pesi, cambi elettronici, ruote fantasmagoriche. E le stesse tecniche di allenamento seguono l’evoluzione della medicina sportiva. Per sfociare, poi, talvolta e purtroppo nella deriva del doping.

Ma ecco che il mondo è attaccato da un virus imbattibile come lo era Merckx. Il Covid-19 da esso innescato, scatena una pandemia, il mondo per resistere si asserragli in casa. La tattica del contenimento, il distanziamento, le mascherine, rendono più complicata la nostra vita quotidiana. La rendono “eroica”, parola che spesso ritroviamo nelle cronache di questi mesi sconvolgenti. Il che favorisce la nascita di una nuova cultura dell’eroismo. Un ritorno ad un passato virtuoso. Per esempio, meno auto, più bici.

Nello sconquasso generale, la bicicletta diventa il simbolo del “rilancio”. Della difesa di una libertà compromessa dalla paura, dalla diffidenza, dalle regole della prevenzione e della sicurezza sanitaria. Pedalare stanca ma fa bene. Anzi, si va oltre: l’industria della bicicletta è immune al coronavirus. Va così bene che è difficile procurarsene una, soprattutto dopo l’erogazione del bonus di 500 euro deciso da governo Conte.

E che dire dell’appello lanciato dai sindaci? “Andate in bicicletta” incitano, promettono corsie preferenziali – magari! per ora, rare come il tartufo bianco – e molti futurologi si affannano a immaginare le città di domani percorse da mezzi di trasporto dell’altroieri.

Non solo. Piglia sempre più consistenza la voga delle Strade Bianche, di andare in bici come una volta lungo percorsi in mezzo alla natura, non asfaltati. Polvere e fatica. Molti anni fa, Giancarlo Brocci, medico e tenace cicloturista, ebbe la geniale idea di far rivivere lungo le meravigliose strade del Senese e del Chianti l’epica del ciclismo eroico. Perché non organizzare una manifestazione ciclistica in cui le biciclette debbano essere rigorosamente “da corsa d’epoca”, definite “bici eroiche o di aspirazione storica” (vintage) e chi le inforca abbigliati come Girardengo, Bartali e Binda? Telaio in acciaio o in alluminio tipo “Alan”; i pedali devono essere forniti di fermapiedi e cinghietti (esclusi dunque gli sganci rapidi); le ruote devono essere montate con cerchi a profilo basso e con almeno 32 raggi (ammessi cerchi in legno, alluminio e acciaio); i fili dei freni debbono esterni al nastro manubrio, ed è consentito il loro passaggio all’interno del manubrio… insomma, provate a spingere queste bici vi sembreranno cancelli, ma che soddisfazione rivivere emozioni perdute, tastare i ricordi dei nonni, divertirsi e non soggiacere alle paranoie che stanno distruggendo “il vero spirito dello sport, ucciso dall’invadenza e dalla prevalenza di procuratori e preparatori”, bofonchia oggi Brocci, “l’Eroica dimostra che può esistere un modo di concepire lo sport diverso da quello esasperato che ha devastato la sua cultura”.

L’Eroica è diventato un brand internazionale. Pure un bel business.

Quando iniziò, Gaiole in Chianti aveva zero posti letto per i cicloturisti. Ora sono 1240. Il 4 ottobre prossimo, come ogni anno, si va in scena. Salvo complicazioni virali. Sono comunque allo studio alternative per limitare i rischi, niente docce, niente Pasta party alla fine, questo è ovvio, ma la consapevolezza che pedalare forse stanca ma è ancor di più, in questo contesto, eroico.