Intervista al patron della Leo France
di Ilaria Ciuti
Il Covid-19 dà la spallata all’export, la punta di diamante dell’economia di Firenze e della Toscana. Ma c’è chi non si arrende. «Lavoriamo nella moda e abbiamo perso un’intera stagione, a fine anno prevediamo il 40% in meno di fatturato, ma andiamo avanti. La ripresa si fonderà per tutti sulla qualità»: non si perde d’animo Lorenzo Pinzauti, patron, insieme alla moglie Franca e ai figli Francesca e Leonardo, di Leo France, l’azienda fiorentina leader internazionale della produzione di accessori metallici per tutte le grandi firme. Un massimo esempio di azienda dipendente interamente dall’export. Con un fatturato, l’anno scorso di oltre cento milioni, di cui il 70% venduto direttamente all’estero e il resto anche a chi qui lavora per Chanel, Vuitton e le altre maison estere, praticamente tutte, che producono in Toscana e in Italia.
Pinzauti, ha appena riaperto, come va?
«Abbiamo riaperto una settimana fa perché dipendenti dall’export.
Stiamo tutti bene, abbiamo osservato le regole con il massimo scrupolo, e siamo rimasti tutti sani, sia noi che le famiglie dei miei 400 collaboratori diretti e dei circa altri 300 delle imprese dell’indotto, alcune partecipate da noi. Li abbiamo pagati normalmente in questi due mesi, senza ricorrere a una cassa integrazione che non è ancora arrivata. Li abbiamo riforniti a casa di mascherine e guanti, importati dalla Cina prima che venissero bloccati. Li abbiamo seguiti e consigliati dalle chat. Ora siamo al lavoro su due turni per la distanza, con sanificazioni, disinfettanti, misurazione della febbre e, sopra le mascherine, anche il casco con la visiera di plastica prodotto apposta da una delle nostre partecipate».
E così, sani e ben combinanti, cosa state facendo?
«Finiamo di produrre e consegnare gli ordini di prima della chiusura.
Le ho detto che abbiamo perso una stagione, come tutto il mondo del resto, e per ora non ci sono ordini nuovi, essendo ancora quasi tutto chiuso a livello globale. Ma, oltre che finire il pregresso, lavoriamo con lena ai nuovi campionari per riconquistare i mercati».
Innoverete per sedurli?
“Sì, ma noi lavoriamo sempre in sintonia con le maison che ci ordinano tutte le minutaglie di cui la moda ha bisogno, dai bottoni alla bigiotteria, passando per le fibbie e gli ornamenti. Ma abbiamo continuato a progettare online con loro anche durante il lockdown.
Abbiamo perso soldi ma non tempo e ora siamo pronti».
L’export continuerà a calare anche in futuro?
«Io non credo, e vado avanti: vedo questa situazione solo come un’interruzione da recuperare nel 2021. Le notizie dalla Cina che ha riaperto, sono buone, le persone sono tornate a comprare con la frenesia del dopo crisi di astinenza. Accadrà lo stesso appena riapriranno anche in Usa e in Europa».
Lei è sereno sulla ripresa?
«Se lo fossi sarei incosciente. Sono preoccupato, ma confido in una ripresa, devo farlo anche per infondere fiducia ai miei collaboratori: non è il paradiso lavorare con mascherina e visiera di plastica».
Ha una ricetta per risorgere?
«Semplice e ovvia ma mai abbastanza praticata: la grande qualità. Noi siamo metalmeccanici ma lavoriamo in un settore di alta gamma, ci siamo abbastanza abituati, ma la qualità deve diventare la parola d’ordine di tutta la manifattura. Il successo dei nostri prodotti alimentari è un esempio. Bisogna lavorare sulla qualità che non fa quantità ma genera più reddito. Sulla bassa qualità non vinceremo mai la Cina».
Dunque avanti tutta a livello di qualità.
«Io vedo un futuro. Purché adesso si usi massima attenzione e cautela nel tenere il comportamento giusto per non ricadere in emergenza un’altra a volta, dopodiché non rialzeremmo mai più la testa. La prima cosa è la salute».
Ritiene che il lockdown fosse una misura necessaria?
«Non sono contrario, nè critico nessuno. Avrei solo voluto più fermezza, si decidono le regole e si dice: si fa così e basta. Noi imprenditori dobbiamo vedere oltre la punta del naso e avere certezze, la sconclusionatezza e la disomogeneità scombussolano».