PICCOLE VIVE INDIPENDENTI CASE EDITRICI: NOTIZIE DAL SALONE

Curiosità, nomi, anticipazioni, strategie e posizionamenti: le piccole case editrici non fanno solo massa, fanno tessuto culturale, e fanno vita. Dal Salone del Libro di Torino, una passeggiata tra stand interessanti e affollati.

Lo ammettiamo, siamo di quelli che alle bancarelle di libri usati comprano qualsiasi libro con le parole Urss Unione Sovietica nel titolo. Ci sentiamo un po’ dei dinosauri perché l’Unione sovietica, a trent’anni dal suo scioglimento, editorialmente non tira più molto: a chi interessano i casi di tutti quei maschi bianchi privilegiati che si mandavano l’un l’altro nei gulag per differenze d’interpretazione delle Sacre Scritture marxiste-leniniste? Sono temi che, francamente, oggi non scatenano, non diciamo l’indignazione o la cancel culture, ma nemmeno un’alzata di sopracciglio.

Siamo dei dinosauri per tanti motivi, non solo per la nostra passione per l’Unione sovietica e la lingua russa. Sappiamo che prima o poi ci estingueremo e accettiamo serenamente la scarsità di titoli con le parole Urss Unione Sovietica alle bancarelle. Tra l’altro, considerando quelli che già abbiamo, ormai non ne troviamo molti da comprare e quando ci tuffiamo in uno scatolone e con dita concitate scartiamo uno dopo l’altro libri di cucina e di diete, autobiografie di celebrità mezze dimenticate e romanzi di figlie e figli di [inserire cognome di personaggio famoso a caso], sappiamo già che quello che ne caveremo sarà amarezza e polvere.

È questa stessa amarezza che ci sale quando al Salone, passeggiando tra gli stand organizzati secondo una griglia ortogonale da città romana, vediamo esposti libri di cucina e di diete, autobiografie di vip e romanzi di autrici e autori alla moda. La polvere, almeno quella ci viene risparmiata. Ci teniamo a garbata distanza dalle cosiddette majors, quelle con gli stand enormi addobbati di manifesti con i faccioni di soubrettes e simboli dell’impegno civile (i cui libri tra venti o trent’anni, o forse anche prima, finiranno nello scatolone insieme al gialletto con il commissario burbero ma dal cuore d’oro e al thrillerone americano da ottocento pagine e fascetta che certifica i milioni di copie vendute) e bazzichiamo le cosiddette indipendenti.

Ci piacciono le indipendenti. Le indipendenti fanno ricerca, scovano autrici e autori che non seguono le correnti del mainstream. Scommettono su di loro, rischiano, li pubblicano. Facciamo solo due esempi. Ci sembra di far torto alle altre, ma nemmeno vogliamo sottrarre a chi legge il piacere di scoprirle da sola o da solo.

Prehistorica è nata appena due anni fa e pubblica solo sceltissimi autori francofoni. L’editore Gianmaria Finardi ci racconta la cura con cui sceglie di volta in volta il traduttore più adatto a rendere la voce dello scrittore. Per sé ha tenuto la traduzione delle opere del funambolo della parola Éric Chevrillard.

Tra i suoi autori, Prehistorica ha uno dei più autorevoli scrittori francesi contemporanei, che in patria ha vinto una caterva di premi ed è pubblicato da Gallimard e che da noi è incredibilmente rimasto ignorato: Pierre Jourde. Di lui abbiamo letto Paese perduto, un viaggio conradiano à rebours lungo il fiume dei ricordi in un’Alvernia selvaggia e patriarcale. Dallo stand usciamo con il suo ultimo lavoro appena tradotto, L’Ora e l’ombra.

CasaSirio è stata fondata nel 2014 ed è diretta da Martino Ferrario. Oltre a essere una casa editrice indipendente molto interessante con cui esordire (tra i migliori esordi ricordiamo quelli di Claudio Metallo con Come una foglia al vento e di Valentina Morelli con Un avanzo di troppi risvegli), scova perle della narrativa anglofona. Quest’anno CasaSirio ha presentato al Salone Bulldog Drummond di Sapper (nom de plume di Herman Cyril McNeile). Con Bulldog Drummond McNeile non solo ha creato un personaggio di grande successo (le sue avventure sono continuate anche dopo la sua morte, scritte da altre mani sotto lo stesso pseudonimo), ma ha gettato le basi di almeno due generi letterari, lo hard boiled e la spy story. Philip Marlowe e James Bond devono molto a Bulldog Drummond.

Ci viene in mente il calcio. Ci sono i piccoli club che fanno uno scouting pazzesco, che coltivano i talenti nelle giovanili e ci sono i grandi club abituati a spendere e che comprano i campioni fatti e finiti.

Il premio Nobel per la letteratura di quest’anno, Abdulrazak Gurnah, in Italia non lo conosceva nessuno (a parte forse qualche circolo di anglisti), né le sue opere erano state tradotte. Poi arriva La nave di Teseo, tratta con l’agente dell’autore e acquista i diritti di pubblicazione.

Abbiamo partecipato a tante fiere come espositori e come visitatori, dalla Finlandia al Qatar, quasi nessuna editoriale, ma il Salone non è molto diverso. I big players mostrano i muscoli e occupano quanti più metri quadrati di superficie possibile, ma in realtà non hanno bisogno di essere lì, non è in fiera che crescono fatturato e visibilità e con le vendite al Salone nemmeno rientrano delle spese per l’allestimento. Chi ha bisogno di esserci sono i pesci piccoli, gli editori indipendenti: loro sì che cercano fatturato e visibilità, loro sì che ripagano vitto, alloggio e stand con ogni singolo libro venduto.

Nell’industria (e non solo) le misure contano: per farsi un’idea dei rapporti di forza tra case editrici un metodo infallibile è il confronto delle dimensioni degli stand. Chiaramente, i grandi gruppi editoriali ne sfoggiano di giganteschi e infatti sono quasi tutti schierati nell’Oval, che in pianta ha una flessibilità maggiore rispetto agli altri padiglioni. Niente di strano quindi che E/O abbia posto tra i grandi, all’Oval, ci stupiamo invece dei metri quadrati di add (che, con la recente pubblicazione del memoriale di una donna uigura sopravvissuta ai gulag cinesi, mostra più coraggio di alcune scrittrici alla moda che boicottano Israele) e de L’ippocampo (che ha addirittura due stand dirimpettai e che, invece di usare ogni superficie disponibile per esporre libri, allestisce con una libreria vintage e arredi da giardino un angolino molto eye-catching).

Le case editrici amano sfoggiare i gioielli di famiglia e non solo invitano autrici e autori a presentare i loro parti letterari in sale che portano nomi di colori (fossi un nostalgico del Ventennio, organizzerei incontri esclusivamente nella Sala Ciano), ma li espongono allo sguardo dei fan, che si schierano in lunghe file e pazienti per farsi firmare la propria copia.

Ogni volta che passiamo dal Padiglione 2 al Padiglione 3 vediamo sempre la stessa fila che s’interrompe acefala di fronte al muro che separa i due padiglioni. Solo dopo alcune ore capiamo che la fila continua anche dall’altra parte del muro, ma meno serrata, e arriva allo stand di Bao Publishing. Ci avviciniamo alla coppia in testa e chiediamo per chi sono lì. Ci dicono un nome che non abbiamo mai sentito e che subito dimentichiamo (no, non è Zerocalcare, fin lì ci arriviamo!). Dev’essere un autore di graphic novel, ribattiamo fieri di aver detto graphic novel e non fumetti, ma quelli sorridono di cortesia e ci guardano come se venissimo direttamente dal Giurassico.

Anche quest’anno di titoli con le parole Unione sovietica e URSS al Salone ne vediamo pochini, anzi, non ne vediamo nessuno. Tant’è che ogni tanto ronziamo intorno allo stand di Carbonio giusto per rivedere le copertine dei libri dei fratelli Strugackij. Facciamo un salto anche da Voland (il nome è già un balsamo), che chiaramente pubblica tanti russi. Ci spiegano che Voland ha anche una sezione con autori di lingua francese e una con autori di lingua tedesca, ma non ce la facciamo: vogliamo la Russia. E ce ne andiamo dallo stand con Giorni maledetti di Ivan Bunin.

 

 

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