Perché i Rosselli parlano all’Italia che deve ripartire

L’ANNIVERSARIO DELL’OMICIDIO DEI DUE FRATELLI
Fu soprattutto Carlo a conciliare due dottrine apparentemente incompatibili socialismo e pensiero liberale. Una lezione etica ed europeista per la politica di oggi
di Valdo Spini
Il socialismo liberale è una dottrina politica elaborata da Carlo Rosselli. Una conciliazione impossibile tra due sistemi di pensiero apparentemente incompatibili? No, perché una conciliazione è avvenuta, per esempio, con il governo laburista britannico del 1945-1951, dove un partito socialista aveva sussunto nella sua azione di governo le proposte di due liberali, in senso anglosassone naturalmente, come Keynes e Beveridge. Una vicenda, peraltro, descritta eloquentemente nel film di Ken Loach, The spirit of 1945 . Ma anche nell’Italia del centro-sinistra degli anni Sessanta ha agito una corrente socialista- liberale, intesa come sintesi tra il filone socialista di Riccardo Lombardi, quello cattolico di Pasquale Saraceno e quello laico di Ugo La Malfa.
Chi era Carlo Rosselli? Un professore di economia, che venne ucciso insieme al fratello Nello, storico del Risorgimento italiano, il 9 giugno del 1937 a Bagnoles- de-l’Orne, in Francia, per mano di un’organizzazione terroristica di destra francese, la Cagoule, su mandato del governo fascista italiano. Carlo Rosselli era evaso dal confino di Lipari per giungere a Parigi alla fine del 1929, dove aveva fondato il movimento “Giustizia e Libertà” e pubblicato il suo manifesto ideologico, Socialismo liberale. I due fratelli avevano dato vita a Firenze, per tutto il 1925, al primo giornale clandestino antifascista, il Non mollare poi violentemente represso. Vennero uccisi perché il loro antifascismo, fermamente anti-totalitarista, li rendeva particolarmente pericolosi sia per il regime di Mussolini sia per il fascismo europeo in generale, visto che Carlo aveva organizzato nel 1936 una colonna italiana per partecipare alla difesa della Repubblica spagnola contro il colpo di stato del generale Franco.
Oggi, nella condizione in cui ci troviamo, il dibattito sul socialismo liberale non va considerato solo in termini storici o filosofico- politici, ma sulla concretezza delle scelte economiche e sociali che dobbiamo fare. Quella che si deve affermare oggi in Italia è una politica socialista-liberale, nel senso che un rilancio economico del nostro paese non può avvenire se non si riescono a conciliare in una efficace sinergia le due esigenze. Da un lato sostenere chi può produrre reddito, e quindi l’impresa. Dall’altro affrontare quella che si profila, dopo la pandemia del Covid- 19, come una vera e propria nuova questione sociale che va ad aggiungersi alle nuove (e vecchie) povertà conseguenti alla crisi del 2007-2008. Non vi può essere, nella situazione in cui ci troviamo, una politica solamente liberista, perché c’è bisogno di una iniziativa politica pubblica nel campo dell’economia, né una politica eccessivamente statalista che non valorizzi le energie imprenditoriali grandi e piccole su cui si regge l’Italia. Ambedue le esigenze vanno soddisfatte e il punto di equilibrio tra queste non può che essere di tipo socialista-liberale. Dobbiamo sviluppare azioni concrete di politica economica e sociale che abbiano al centro il concetto keynesiano del “moltiplicatore”, cioè scelte di spesa pubblica che abbiano un effetto più che proporzionale sul reddito nazionale in modo da generare sviluppo e occupazione e impedire l’avvitamento del deficit pubblico.
Si è parlato molto di piano Marshall, ma non dimentichiamoci una differenza: quello del 1949 aveva come obiettivo la ricostruzione di una struttura produttiva e di una dotazione infrastrutturale distrutte da una guerra che si era svolta sul territorio europeo. Oggi siamo a una corsa contro il tempo per impedire la chiusura di imprese e di aziende esistenti, non solo industriali, ma dei più vari settori. E il tempo è tiranno.
Dalla vicenda della pandemia è emersa con forza la necessità della presenza e del rafforzamento di strutture pubbliche, come il Servizio sanitario nazionale, che da troppe parti si volevano erodere ed è proprio all’insegna del rafforzamento del sistema sanitario pubblico che si dovrebbe procedere all’utilizzo dei fondi del Mes.
Questi mesi vissuti all’insegna della lotta alla pandemia hanno visto emergere nel nostro paese uno spirito di fraternità e di solidarietà che ha animato il sacrificio e l’impegno di tanti, particolarmente dei cittadini più esposti al rischio. Questo spirito deve trovare il suo prolungamento in ideali democratici forti che lo sostengano e lo alimentino anche dopo la conclusione dell’emergenza sanitaria. E qui veniamo a un altro elemento rosselliano, alla questione etica.
In Rosselli il socialismo, caduto il determinismo economico-sociale proprio del marxismo, assume un carattere etico, quello di un socialismo dei valori: «Il socialismo non si decreta dall’alto, ma si costruisce tutti i giorni dal basso, nelle coscienze, nei sindacati, nella cultura», scriveva in I miei conti col marxismo e aggiungeva: «La libertà, presupposto della vita morale così del singolo come della collettività, è il più efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo». Rosselli rafforzava poi il suo pensiero collocandolo in una visione europeista della politica: Europeismo o fascismo è il significativo titolo di un suo vigoroso articolo pubblicato sul settimanale Giustizia e Libertà già il 17 maggio 1935.
Oggi l’Unione europea è il punto di riferimento, dialettico quanto si vuole, indispensabile per la nostra ripresa. Ma solo un’Italia capace di riformarsi profondamente può sfruttare con successo l’aiuto europeo. Non l’Italia del pre-covid, non l’Italia dei cento miliardi di evasione fiscale, non l’Italia con un tasso di produttività inferiore a molti altri paesi europei, non l’Italia con una criminalità organizzata che infesta vasti territori del paese, non l’Italia dal dislivello Nord-Sud inaccettabile che abbiamo dovuto registrare ancor prima della pandemia, né quella che ci è stata rivelata dalle intercettazioni tra politici e membri del Consiglio superiore della magistratura. Ma il presupposto del cambiamento è ricostruire una classe politica riconoscibile in un sistema di valori che le valgano rispetto e considerazione nella società italiana.
Possono allora queste due parole, socialismo liberale, dare un contributo alla ricostruzione politico- etica del nostro paese? Possono ancora scaldare i cuori, sensibilizzare le coscienze, conferire prestigio a una classe dirigente che vi si ispiri? Certamente sì. A ottantatré anni dall’assassinio dei fratelli Rosselli, esse restano un punto di forza per costruire un futuro di coesione e di sviluppo.
Valdo Spini è il presidente della Fondazione Fratelli Rosselli
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