«Per l’America le priorità sono altre Non ci sarà un intervento in Libia».

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«Quello che chiaramente non avremo è un significativo intervento militare degli Stati Uniti né un loro ruolo significativo nella costruzione di uno Stato libico». Per il politologo Ian Bremmer, fondatore di Eurasia, il maggiore centro americano di analisi dei rischi geopolitici internazionali, che usa il termine «mondo del G-zero» in riferimento all’attuale mancanza di leadership globale, è una questione di priorità. La Libia? Lui stima che per l’America sia più o meno la «priorità numero sei».
L’America è diventata indifferente?
«Non c’è dubbio che ci sia una maggiore indifferenza da parte degli Stati Uniti o un minore impegno nel risolvere le crisi. Queste accade per molte ragioni, ma non tutte hanno a che fare con gli Usa. La verità è che le sfide sono diventate molto più ampie. Molti Paesi credono di avere soluzioni alle crisi — Paesi come Qatar, Arabia Saudita, Iran, Turchia — ma sono soluzioni diverse e in contraddizione fra loro. L’interesse più grande per Renzi è la Libia ma quest’ultima tragedia degli immigrati, per quanto orribile, nel contesto di quello che sta accadendo in Medio Oriente è piuttosto piccola».
E dunque?
«Gli Stati Uniti si stanno sforzando di risolvere alcune crisi, innanzitutto combattendo l’Isis dove c’è la percezione di una minaccia urgente e la possibilità di arrivare a un qualche consenso sul da farsi. Nel caso della Libia, dove si tratta di costruire uno Stato dal nulla, o della Siria, dove l’unico attore di riferimento è Assad, la sfida è enorme. Per anni l’amministrazione Obama ha tentato invano di arrivare ad un accordo tra israeliani e palestinesi, poi ha cercato l’intesa con l’Iran sul nucleare con qualche successo, infine sta conducendo una battaglia contro l’Isis, anche qui con qualche successo. Altre cose come la Libia sono a un livello priorità intorno al numero sei. Ci sono quattro Stati falliti in questo momento: Siria, Iraq, Yemen, Libia. Il 50% dei siriani ha lasciato le proprie case. Il problema dei rifugiati che l’Italia sta vivendo non è nulla rispetto a quello che stanno affrontando la Giordania, il Libano e la Turchia dove mancano sia i soldi per la crisi umanitaria che le risorse per l’antiterrorismo».
Un suo recente tweet elenca quattro ragioni di instabilità per l’ordine globale: l’indifferenza americana è al quarto posto, preceduta da 1) l’ascesa della Cina, 2) il declino della Russia e 3) l’incoerenza dell’Europa. Pensa che l’Europa riuscirà a gestire la crisi libica?
«Il problema dei profughi porterà a stanziare fondi, ad aumentare gli interventi della Guardia costiera, al coordinamento legale per gestire i rifugiati. Ma tutto ciò è molto diverso da affrontare le condizioni iniziali. L’incoerenza dell’Europa non riguarda solo la gestione dei profughi ma tutte le questioni. L’Europa è stata marginale in quasi tutte le crisi in Medio Oriente, con alcune eccezioni come i francesi in Mali. Nella questione ucraina, che è la più grossa e significativa per l’ordine globale, gli europei sono completamente scoordinati. Ognuno ha una prospettiva molto diversa su come procedere».
Come giudica nel complesso la strategia di Obama?
«Sulla Libia la risposta iniziale di Obama è stata che l’America si aspetta che gli Stati della regione facciano di più. Le stesse parole che ha usato sull’Iraq, respingendo l’idea che l’America possa occuparsi della costruzione dello Stato. Resta però il fatto che gli attori regionali non sono d’accordo tra loro e questo è un problema molto serio. La colpa non è di Obama: la Cina, per esempio, non ha fatto quasi nulla, benché i suoi interessi economici nella regione siano oggi perfino maggiori di quelli americani. Non c’è dubbio che, alle prossime elezioni Usa, molti si faranno avanti per criticare la politica del presidente in Medio Oriente. Però allo stesso tempo, nessuno dice che cosa avrebbe fatto concretamente per portare a risultati radicalmente diversi. Perciò scrivo di un “mondo del G-Zero”: lo scenario non cambierà sostituendo il presidente americano. Stiamo entrando in una fase di profonda creatività distruttiva».
Qual è la soluzione per la Libia?
«Può esserci solo una soluzione tribale, che richiede allo stesso tempo sostegno regionale. Sono d’accordo con Obama: la soluzione di lungo termine richiede molto più coinvolgimento da parte degli attori locali. Gli europei devono lavorare duramente su questo. Il problema è che anche per i sauditi, come per quasi tutte le parti coinvolte, la Libia non è la priorità numero uno, ma la numero cinque, dopo lo Yemen, l’Iran eccetera. Insomma, non dovremmo aspettarci una soluzione a breve».
Viviana Mazza