- All’interno della Lega crescono fastidi e insofferenze nei confronti del segretario Matteo Salvini e la questione leadership non è più un tabù.
- Sostituire quella macchina da consensi che è stato Salvini, comporta quindi dei rischi. Certo, tutti i partiti sono sopravvissuti, bene o male, alla caduta dei loro leader idolatrati. E le proprio le vicende della Lega sono lì a testimoniarlo.
- Ma come Salvini ha sfondato articolando le tradizionali tematiche su nuovi orizzonti, così dovrebbe fare una eventuale nuova dirigenza leghista. Tuttavia, l’agenda con cui la Lega ha fatto fortuna non ha perso slancio.
All’interno della Lega crescono fastidi e insofferenze nei confronti del segretario Matteo Salvini. I sussurri non sono ancora diventati grida, ma la questione leadership non è più un tabù. Vi sono comunque due aspetti da tener presente.
In primo luogo, Matteo Salvini ha acquisito negli ultimi un predominio tale nel partito tanto anto da definirlo come una costola della sua futura ascensione a Palazzo Chigi – del tutto conseguente, peraltro, all’ invocazione di disporre di “pieni poteri”. In secondo luogo, l’accessione ad una dimensione nazionale e non più regionale della Lega: la Padania è scomparsa tra le nebbie e il Carroccio è sceso al Sud.
Questo passaggio, ostico per tanti leghisti identitari alla Umberto Bossi, è stato però premiato dall’elettorato che ha portato la “Lega per Salvini Premier” oltre il 30 per cento. Sostituire quella macchina da consensi che è stato Salvini, comporta quindi dei rischi. Certo, tutti i partiti sono sopravvissuti, bene o male, alla caduta dei loro leader idolatrati. E le proprio le vicende della Lega sono lì a testimoniarlo.
Ma come Salvini ha sfondato articolando le tradizionali tematiche su nuovi orizzonti, così dovrebbe fare una eventuale nuova dirigenza leghista. Tuttavia, l’agenda con cui la Lega ha fatto fortuna non ha perso slancio. Al di là della retorica secessionista-nordista, il Carroccio, sia prima che dopo l’attuale segretario, ha mietuto consensi battendo su alcuni tasti di cui disponeva la proprietà esclusiva: ostilità all’immigrazione e sicurezza.
Secondo una recente ricerca dell’Ipsos, le valutazioni degli elettori leghisti sono le stesse dei decenni precedenti: oltre ad una buona metà che si lamenta per le tasse (ma questo è un tema ampiamente condiviso, pur con accenti diversi), il 42 per cento ritiene che ci sia sempre più violenza e insicurezza nel nostro paese, e il 40 per cento che le città siano piene di immigrati; e queste percentuali sono ben superiori alla media nazionale.
Fino ad ora la Lega non aveva seri concorrenti su questo piano. Ma da qualche tempo la crescente visibilità di Fratelli d’Italia sta incrinando l’esclusività leghista su tale terreno. Chi oggi sostiene una agenda diversa sembra consapevole della concorrenza in atto.
Il punto è che la capacità di trascinamento popolare esercitata da Salvini su temi emotivamente così potenti non è facile da riconvertire su tematiche più razionali, di tipo economico, e pro-sistemiche, abbandonando ogni polemica anti-establishment. Alla fine, le tensioni stanno attraversando la Lega precipitano in questo dilemma: mantenere un appeal nazionale puntando sui classici argomenti pur in presenza di un nuovo concorrente o ritornare al nord con tematiche produttivistiche, rinunciando alla forza trainante dell’appello populista-sovranista (e magari cambiando segretario)?