PER DIVENTARE GRANDI.

di Dario Di Vico

Gli esperti attendono i dati di agosto del Pil del secondo trimestre per capire quanto sia robusta la ripresa in corso e di conseguenza quali aspettative sia giusto nutrire. Ma al di là di quel responso — pur importantissimo — emerge sempre più chiaramente che abbiamo bisogno di rafforzare il nostro sistema delle imprese e di aumentare il numero delle aziende capaci di solcare i mari globali. È con questo convincimento che molti osservatori, compreso chi scrive, sono andati ieri ad ascoltare Giorgio Squinzi alla prese con la relazione della sua ultima assemblea annuale da presidente degli industriali. Va detto subito che Squinzi ha letto un buon documento. Il merito che gli va riconosciuto è di aver aggiornato la riflessione confindustriale in materia di relazioni industriali e di aver aperto la porta a quelle «soluzioni innovative in azienda», che se oggi sono solo delle buone pratiche — forse un tantino isolate — devono diventare lo standard della contrattazione di domani. Di un negoziato che si metta definitivamente alle spalle l’alfabeto tradizionale e ne scriva uno nuovo per valorizzare le esperienze di dialogo, responsabilizzazione e partecipazione. È interessante anche che Squinzi abbia, per la prima volta in un’assise ufficiale della Confindustria, aperto alla novità del welfare aziendale definendolo giustamente «il terreno più sfidante delle moderne relazioni industriali».
Il compito del presidente non era agevole anche perché doveva rispondere ai rilievi che solo 48 ore prima il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, aveva rivolto proprio al sistema delle imprese scrivendo nelle Considerazioni finali che «l’attività innovativa in Italia è meno intensa che negli altri principali Paesi avanzati, soprattutto nel settore privato». Vi sco aveva anche aggiunto come fosse molto inferiore rispetto ai partner europei «la capacità delle imprese italiane di svolgere attività di ricerca e sviluppo al loro interno e di collaborare con università e altre istituzioni di alta formazione». Con molto fair play Squinzi ha replicato sostenendo, con passaggi convincenti e di buona fattura, che in Italia l’industria è stata e resta il vero presidio della modernità. Tanto che «ai più giovani dobbiamo raccontare che noi siamo stati e saremo protagonisti e non comparse della storia dell’industria mondiale, quella già scritta e quella che è ancora da scrivere». Non si può non essere d’accordo, ma è anche legittimo chiedersi se sia solo questa la risposta da dare, non tanto al Governatore quanto a un’opinione pubblica più ampia. Credo che la qualità e le potenzialità della nostra cultura manifatturiera siano alte e magari, proprio per la nostra capacità di mixare grande e piccolo, troveremo prima di altri il terreno della migliore collaborazione possibile tra le aziende-madri e i nuovi fab-lab. Tutto ciò però non basta se non sapremo aprire le aziende, se non faremo quella che l’economista Luigi Zingales ha avuto modo di chiamare «l’abolizione dell’articolo 18 del capitale», ovvero il superamento dei vincoli che bloccano la ricerca di risorse e soci necessari per crescere. Le condizioni ci sono, quella che sembra mancare ancora è la cultura. Potrà sembrare un paradosso, ma da un lato gli italiani anche in questa stagione di vacche magre non hanno smesso di risparmiare e dall’altro le banche fanno sapere che avranno difficoltà a sostenere economia e imprese come facevano un tempo. Come se ne esce visto che abbiamo bisogno di rafforzare il sistema industriale e aumentare il numero delle multinazionali tascabili?
In un passaggio del suo discorso Squinzi ha chiesto «un abito su misura fatto di credito e finanza» per le piccole e medie aziende che vogliono correre. Tuttavia non ha mai citato la Borsa. È singolare come non si riesca ad aprire un vero canale di collegamento tra Confindustria e Piazza Affari, eppure oggi la strumentazione offerta per approdare sui mercati finanziari è molto più ampia che in passato e di abiti — magari non proprio su misura — ne esistono. Aggiungiamone ancora uno, se è il caso, nel frattempo però va organizzata una pubblica discussione su come portare capitali pazienti agli imprenditori che lo meritano, come convincerli ad aprirsi e quale debba essere il ruolo degli intermediari finanziari e delle stesse banche. Se Squinzi ieri avesse inaugurato questo forum avrebbe mostrato ancora una volta quel coraggio che lo ha portato negli anni a fare della Mapei un vero gioiello.
P.S. Secondo le anticipazioni diffuse da fonti ufficiali, nel testo del presidente a proposito di relazioni industriali avrebbe dovuto esserci un accenno alla possibilità di derogare ai contratti nazionali di lavoro. Un’affermazione che avrebbe dato pienamente ragione ex post a Sergio Marchionne e forse per questo motivo è stata accantonata. Però il gruppo dirigente della Confindustria sembra comunque intenzionato a percorrere questa strada. Vedremo.