di Pierluigi Piccini
Alcune volte bisognerebbe staccarsi dalle questioni del fare politico quotidiano, per cercare di capire ciò che avviene in termini sistematici. La questione sulla quale bisognerebbe appuntare l’attenzione è non solo la conferenza stampa di Roncucci, ma la questione da lui stesso sollevata delle primarie. Chieste, quest’ultime, sia internamente al Pd che esternamente. Dall’interno è facile capire il perché: un salvagente nel caso in cui il candidato sindaco non piaccia a chi le ha richieste, Mazzarelli. Quelle esterne hanno un’altra valenza: il condizionamento, da fuori, del Pd tramite il candidato sindaco. È probabile, in questa seconde ipotesi, che il richiedente possa essere, nel caso in cui venissero decise, un dei candidati alle primarie. Dunque ambedue hanno un tratto comune: mettere in difficoltà il gruppo dirigente che è uscito dai congressi appena svolti, che non hanno rappresentato ne una novità, né una discontinuità. La Mazzarelli, appartenendo ad un gruppo interno, può condizionare, ma anche ricorrere, se necessario a situazioni di rottura. È probabile che sia più propensa al condizionamento, quindi non proprio convinta delle primarie esterne. È vero che si dovranno affrontare le questioni sul piano della eventuale coalizione, ma ci sono i regolamenti e con quelli si può molto “lavorare” sulle procedure. Nel caso dell’apertura all’esterno, l’attacco al gruppo dirigente è decisamente più netto. Certo, se l’operazione non dovesse riuscire, allora l’insuccesso acquisterebbe il sapore del velleitarismo. Tuttavia, se dovesse riuscire, alla fine il vincitore sarebbe fortemente condizionato dallo stesso gruppo che nelle intenzioni avrebbe voluto sconfiggere. Questo semplicemente perché l’alleanza che ha vinto i congressi rimane in carica fino al congresso successivo, quindi per diversi anni. E gli apparati di un partito non si fermano soltanto alla gestione interna della organizzazione che dirigono, ma estendono la propria influenza anche all’esterno, in particolare a quei poteri che vengono comunemente chiamati organi intermedi (sindacati, categorie e via discorrendo). Insomma, augurando buona fortuna, tutto viene giocato sul piano individuale, con scarsa attenzione ai numeri, anche di possibili alleati del Pd. Se nelle migliori delle ipotesi per i richiedenti, la consultazione esterna dovesse avvenire con successo, allora si potrebbe configurare quello che Gramsci chiamava “rivoluzione passiva”, o meglio: l’inglobamento di forze “alternative” nei processi tradizionali della gestione del potere. È proprio quest’ultimo il termine esatto della discussione, a mio parere: la trasformazione della gestione del potere. Questa può avvenire solo quando le forze del cambiamento hanno la capacità di costruire alleanze sociali più vaste possibili, disponibili all’innovazione. Soggetti a cui va dimostrato che il futuro è più conveniente, nei vari aspetti, del presente e del passato. Questa incapacità è stata il vero fallimento dell’esperienza del centrodestra senese, che è rimasto subalterno nella gestione del potere, peggiorandolo ulteriormente rispetto a chi ha sostituito.