di Pierluigi Piccini
Ci sono molti modi per leggere una città e Siena in modo particolare. C’è un modo “freddo”, fatto di approcci quantitativi, e un altro più vivo come se si dovesse interpretare un organismo vivente. Metodo, quest’ultimo, difficile che può far correre diversi rischi, eppure Siena si presta a questo tipo di lettura. Siena è una città fortemente simbolica o, meglio, che straripa di simboli. A farmene prendere coscienza diversi anni fa fu Tony Cragg. Nella stanza dove allora svolgevo la mia funzione di sindaco lo scultore mi fece presente che era in difficoltà: si sentiva oppresso per i troppi simboli e mi pregò di uscire. E così facemmo. E non fu il solo a farmi presente questa sensazione che, di volta in volta, da qualcuno veniva provata. Da allora ho cercato di capire e interpretare questa corrente calda che punteggia e attraversa la città e i suoi abitanti.
Qualche mattina fa ero seduto sullo scalone Piacentini: lo chiamo così perché, da qualche parte, mi sembra di aver letto che l’architetto parli del Duomo di Siena e di come debbano essere visti i monumenti in città di impianto medievale, così da leggere l’insieme del monumento, la massa complessiva. Cosa non semplice a Siena dove l’edificato nel centro storico è sempre letto in una visione medievaleggiante. Quindi, dicevo, ero davanti al Duomo, edificio che sia all’esterno che all’interno è pieno strapieno di simboli. Ne cito uno solo la scritta che Ermete Trimegisto porta fra le sue mani e quel cerchio fra suscipite e licteras. Cerchio che da solo vale cento delle mostre come quella che si sta per aprire al Santa Maria della Scala, dove i segni sono privi di significato che diventano immagini-schermo, ottimi per la pubblicità o per il marketing. Segno evidente della mancanza di radici che contraddistingue la nostra epoca. Ma su questo avremo modo di tornarci sopra.
Di fronte al Duomo c’è una scultura di arte contemporanea, una di quelle delle Forme nel Verde che sono state installate in diversi luoghi. Spero che averla collocata in quel posto in modo dialettico con la facciata della Cattedrale non sia stato un fatto casuale. Perché mi è sembrata una scelta felice, la facciata del Duomo e la scultura contemporanea parlano la stessa lingua, dialogano fra di loro. La simbologia della facciata che nella sua dimensione teologica ci invita a passare dalle cose terrene (pseudo-Dionigi), il piano del sacrato, alla spiritualità dell’angelo collocato nel punto più alto sopra l’incoronazione della Vergine. Un angelo sempre illuminato costantemente colpito per l’intera giornata dal sole, dalla luce. Quell’aquila (sole) assente nella facciata, ma molto presente nei capitelli di sinistra della navata centrale. Stessa cosa per la scultura contemporanea: materia che ingloba la luce nel suo corpo e che risplende nel punto più alto grazie al sole che la illumina.
Se vogliamo essere proprio pignoli, una differenza c’è che rivela tutta la contemporaneità della scultura: la spiritualità è nella materia. Cosa che mi ha fatto pensare per un attimo a Papa Francesco e alle sue dichiarazioni in difesa dell’ambiente.
Un po’ più sollevato sono andato in Consiglio comunale, che da un po’ di tempo si svolge al Santa Maria della Scala.