Mi preoccupa di come questo populismo di moda è entrato in Europa. Mi viene da pensare ad alcune terribili degenerazioni che abbiamo già vissuto in passato, come il messianesimo del 1932-33 in Germania. In quel caso non ci fu bisogno di colpi di Stato violenti, bastò il voto della gente che si fece abbindolare da discorsi populisti spacciati per buonsenso. Il populismo è come moneta falsa. […]
[Stiamo davanti all’esigenza di una politica che dica] mai ai populismi, che siano essi politici, culturali o religiosi. Sì ai popolarismi, dove i popoli crescono, si esprimono ognuno con le caratteristiche proprie e in comunità.
«Non davo importanza all’ecologia»
Va combattuto l’egoismo, il pensiero per cui io sfrutto la Madre Terra perché la Madre Terra è grande e deve darmi quello che io voglio, punto. È un pensiero del tutto malato, non potrà che portarci al collasso. All’inizio non comprendevo nemmeno io questi temi. Poi, quando mi sono messo a studiare ho preso coscienza, ho tolto il velo. Penso sia giusto lasciare a tutti il tempo di capire. Nello stesso tempo però bisogna anche fare in fretta a cambiare i nostri paradigmi, se vogliamo avere un futuro.
«No alla spettacolarizzazione dell’atto del mangiare»
Innanzitutto mi viene in mente il detto arabo (che probabilmente è anche nella Bibbia, scritto in un altro modo) che dice: «Per fare un’amicizia occorrono chili di sale», ovvero che per creare un rapporto bisogna mangiare insieme molte volte, bisogna condividere il nutrimento. Il cibo è strumento di convivialità, spezzare il pane è il gesto più emblematico, si spezza il pane e lo si dà prima all’ospite, si condivide. Nello stesso tempo, poi, oggi assistiamo anche a certe degenerazioni, quando si parla di cibo. Nell’epoca dell’opulenza talvolta si esagera, da un lato con la spettacolarizzazione dell’atto del mangiare, e dall’altro adottando un approccio famelico e sfrenato. Penso a questi pranzi o cene con innumerevoli portate: se ne esce sopraffatti da quanto si è mangiato, spesso senza piacere, solo quantità. Questo modo di fare è espressione di un egoismo e di un individualismo di fondo perché al centro è il cibo per il cibo, non la relazione con le altre persone, di cui invece il cibo dovrebbe essere un mezzo. Quando però si ha la capacità di mantenere le persone al centro, allora il mangiare è l’atto supremo che favorisce la convivialità e l’amicizia, crea le condizioni per la nascita e il mantenimento di buone relazioni, fa da tramite di valori e di culture.
«Il piacere sessuale serve a rendere l’amore più bello»
La Chiesa ha condannato il piacere inumano, rozzo, volgare, ma al contrario il piacere umano, sobrio, morale lo ha sempre accettato. Il piacere arriva direttamente da Dio, non è cattolico né cristiano né altro, è semplicemente divino. Il piacere di mangiare serve per far sì che mangiando ci si mantenga in buona salute, così come il piacere sessuale è fatto per rendere più bello l’amore e garantire la prosecuzione della specie. Il piacere di mangiare così come il piacere sessuale vengono da Dio.
«Ravioli e asado la domenica a casa di mia nonna»
In Argentina, ad esempio, nella mia famiglia la domenica non mancavano mai i ravioli tipici piemontesi. La mia nonna materna faceva sempre pranzo per quaranta persone perché aveva cinque figli, ciascuno dei quali a sua volta con mogli e figli. A volte preparava a mano 600-700 cappelletti, era un modo per dimostrare amore, cura. E per secondo arrivava l’asado, la grigliata.
«Sono cresciuto a tajarin e bagna cauda»
Soprattutto nella zona di Cordoba e Rafaela [la bagna cauda] si fa ancora molto spesso. Portata dalle comunità piemontesi, ha messo radici ed è diventata autoctona, è considerata un piatto tradizionale anche da chi non ha ascendenze italiane. Ma si trova anche a Buenos Aires. È un piatto molto diffuso in Argentina, la bagna cauda, con ricette un po’ diverse una dall’altra, astigiana, cuneese o del Nord Piemonte. […]
Si facevano anche i tajarin, si impastavano e poi si tagliavano con il coltello. L’ho visto fare molte volte da tutte e due le nonne e anche da mia mamma, principalmente la domenica, erano un altro piatto della festa. [Sono cresciuto] a tajarin e bagna cauda.
«Ho imparato il piemontese e le parolacce genovesi»
Entrambe le mie nonne sono piemontesi. È con loro che ho imparato il piemontese e la cucina tradizionale. Uno dei nonni invece era di ascendenza genovese. Con lui si parlava in spagnolo, non so perché. Di genovese ho imparato solo le parolacce.
«Sono un tifoso del cinema italiano»
Voi italiani avete una grande saggezza e una grande storia, se parliamo di cinema. Il cinema italiano del Dopoguerra è una grande lezione di umanesimo. Io sono un po’ tifoso perché i miei, a casa, ci portavano spesso al cinema. Da ragazzi andavamo sempre tutti insieme a vedere i film di Aldo Fabrizi, della Magnani. Tutto il Neorealismo. Era una grande lezione di umanesimo. Ad esempio, La strada per me è un altro capolavoro di umanesimo italiano e cristiano. Tutto il cinema del Dopoguerra, quello di Miracolo a Milano, di De Sica. Bisognerebbe rivedere questi film per capire come siamo cambiati e come sono cambiate le nostre società, non sempre in meglio.
«Io guardo alle periferie, è necessario decentrarsi»
[L’umanità è calpestata da] virus ingiusti: un’economia di mercato selvaggia, un’ingiustizia sociale violenta, dove le persone muoiono come animali e vivono, anche, tante volte come animali. Dove lo sfruttamento del lavoro è all’ordine del giorno, dove i popoli perdono la propria identità nelle mani dei populismi selvaggi che vogliono salvarli con le loro idee, le loro dottrine, con l’indottrinamento… Forse è troppo pessimista quello che sto dicendo. Ma io guardo alle periferie. Io credo che sia necessario decentrarsi, oggi. E andare lì, dove si gioca il futuro. Nelle periferie, sì. Nelle periferie reali, esistenziali o sociali, purché siano periferiche. Non da un centro che esiste ma che è solamente virtuale, non reale. È come la catena di Sant’Antonio, anche l’economia è diventata così: tu credi di avere centomila lire ma ne hai solo due. Bisogna andare sul concreto, sulla vita della persona. Da una crisi non si esce uguali: si esce migliori o peggiori. A noi sta la scelta in questo momento.