PALAZZO CHIGI BERSAGLIO DELLE PAURE DEI PARTITI

 

di Massimo Franco

 

Il modo perentorio col quale alcuni partiti si rivolgono a Palazzo Chigi dipende probabilmente dall’esigenza di marcare la propria presenza; di negare la vulgata che li vuole subalterni per necessità all’agenda di Mario Draghi. Così, i grillini gli chiedono di «rispettare gli impegni presi». Il leghista Matteo Salvini lo va a trovare per dimostrare che a trattare è lui e non i ministri sospettati di eccesso di «governismo». E alcuni settori del Pd non nascondono insofferenza verso il premier. Da un po’ le antenne del Quirinale registrano malumori diffusi in Parlamento.

Più che verso Draghi, del quale si riconoscono l’autorevolezza e la credibilità, la tensione è rivolta ad alcuni collaboratori. Alla festa per i settant’anni dell’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, qualche giorno fa a Roma, sono affiorate critiche neanche troppo a bassa voce per il modo in cui si decide. E l’incrocio tra le misure da prendere per ottenere gli aiuti europei, la vicinanza del voto per il Quirinale e le elezioni politiche al massimo nel 2023 acuisce la tentazione di assumere un atteggiamento più conflittuale.

In qualche misura è un ritorno fisiologico di una politica che cerca di fare sentire la propria voce quando sono in gioco interessi che toccano i loro serbatoi di consenso. Il problema rischia di presentarsi se, invece di difendere correttamente il ruolo dei partiti, i segnali anticipano la volontà di tornare a vecchi metodi; se preannunciano una voglia di rivincita su dinamiche e su logiche che sono emerse per l’incapacità conclamata del sistema di garantire il futuro del Paese.

Ma la prospettiva di una saldatura dei no a Draghi sarebbe quella tra debolezze che non vogliono fare i conti con quanto è avvenuto dal 2018; e dei pericoli che l’Italia sta tuttora cercando di scongiurare. A volte, in quanti sostengono che il premier deve rimanere a Palazzo Chigi fino al 2023 si avverte l’eco ambigua di chi scommette su nuovi equilibri istituzionali tesi a ridimensionare il ruolo e l’impatto di Draghi, non a puntellarli. Su questo sfondo, il nervosismo verso Palazzo Chigi può avere più di una lettura. In parte è la protesta contro chi non è stato eletto, da parte di chi deve rispondere a un elettorato.

Ma in parte sembra un pretesto per anticipare l’opposizione a una candidatura di Draghi al Quirinale, magari sostenendo che occorrono soluzioni tali da impedire il voto anticipato: prospettiva inverosimile. Il vero motivo appare il timore di rimettersi radicalmente in discussione. Forse sono riflessi inevitabili, in una situazione di incertezza. Hanno come controindicazione quella di sottovalutare i contraccolpi che questo atteggiamento potrebbe provocare: non tanto su Palazzo Chigi ma sulla credibilità internazionale delle riforme che il governo sta faticosamente proponendo.

 

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