Un «paese bloccato» dove «le diseguaglianze si perpetuano» da una generazione all’altra. In Italia, a metà 2019, la quota di ricchezza in possesso dell’1% più ricco superava la quota del 70% più povero. «Ci vorrebbero – si legge in «Disuguitalia», un focus che accompagna il rapporto «Time to care- Avere cura di noi», presentato da Oxfam alla vigilia del vertice di Davos – Cinque generazioni per i discendenti del 10% più povero per arrivare a percepire il reddito medio nazionale».
In questa società rovesciata un terzo dei figli di genitori più poveri, sotto il profilo patrimoniale, è destinato a rimanere fermo al piano più basso (quello in cui si colloca il 20% più povero della popolazione), mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco, continuerà a mantenere una posizione apicale.
È stata frantumata quella che per un paio di generazioni è stata considerata la centralità sociale del lavoro salariato a cui è stato anche attribuito il ruolo di «ascensore sociale». Chi tra i più giovani, e tra i meno giovani, si avventura oggi nel «mercato del lavoro» ambendo legittimamente a un lavoro qualificato, è costretto ad affrontare le conseguenze di un’organizzazione profondamente ingiusta e diseguale. A partire dal reddito miserabile che è possibile ottenere da un’attività lavorativa che non corrisponde più all’immagine tramandata anche all’ultima generazione. Secondo Oxfam il 30% dei giovani occupati guadagna oggi meno di 800 euro lordi al mese.
Per Elisa Bacciotti, direttrice delle Campagne di Oxfam Italia, questa situazione è rappresentabile attraverso la cosiddetta «economia dei lavoretti» [Gig Economy]: «Queste persone – dice a Il Manifesto – guadagnano un nulla in un’economia che è fondata sul precariato dei lavori sottopagati e frammentati. In questa economia i livelli occupazionali registrati dalle statistiche sembrano in aumento, ma le occupazioni mappate con i criteri stabiliti alcuni anni fa sono molto più povere e non producono reddito. È necessario rimettere al centro la dignità dei lavoratori, maggiore tutela contrattuale e il diritto alla retribuzione».
Oltre Il 13% degli under29 italiani versa in condizione di povertà lavorativa. «Tanti, troppi giovani non studiano né lavorano, lavorano per una paga risibile, meditano di partire in cerca di un futuro migliore». Il cuore del problema è la scuola e l’istruzione. «L’abbandono scolastico – continua Bacciotti – incide tanto sulle diseguaglianze di reddito, quanto sulle opportunità di vita. Bisogna tornare a investire con decisione sul sistema di educazione pubblica che non vuole dire solo sulle aule e sugli insegnanti nei cicli obbligatori di istruzione, ma anche nei servizi di orientamento e di contrasto dell’abbandono negli anni ponte, nel passaggio da un ciclo di studi all’altro. Si investe in maniera frammentata sull’orientamento e sulla transizione tra scuola e lavoro. Questa è un’altra radice della diseguaglianza».
Nel 2018 in Italia l’11,1% delle donne non mai avuto un impiego per prendersi cura dei figli. è un dato superiore alla media europea (3,7%), mentre quasi una madre su due tra i 18 e i 64 anni (il 38,2%) con i figli under 15 è stata costretta a modificare il rapporto tra vita professionale e familiare per conciliare il lavoro. È una quota superiore di oltre tre volte a quella degli uomini.
Quanto al lavoro di cura non retribuito, oggetto di analisi del rapporto di quest’anno, va considerato come una parte della domanda di un lavoro sempre meno retribuiti o sottopagati che è destinata a crescere nel prossimo decennio.
Come i rider, anche le lavoratrici e i lavoratori della cura sono considerati nella vasta platea di queste attività. «Entro il 2030 2,3 miliardi di persone avranno bisogno di assistenza, 200 milioni in più dal 2015 – osserva Bacciotti – È urgente che i governi reperiscano tramite politiche fiscali e di spesa pubblica le risorse necessarie per liberare le donne e contrastare disuguaglianza e povertà.