Ottocento a due facce.

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L’Italia si consegna alla fine dell’Ottocento assolata e rurale, rorida di acque e canali, con le spiagge del sud che disegnano nella fantasia (degli artisti del nord) piccoli paradisi popolati da donnine discinte e distese al sol.
Eccola l’Italia nelle tele di Giovanni Boldini, Mosè Bianchi, Domenico Induno o Federico Zandomeneghi, principali interpreti della mostra Da Boldini a Segantini , che si apre alla GAM Manzoni di Milano, perno di una «cittadella dell’Ottocento», attorniata com’è dalle gallerie Maspes e da Bottegantica — le quali, in parallelo, propongono mostre simili.
Si entra e si è attorniati da figure sbiadite ma vivide (il sottotitolo della mostra è «Riflessi dell’Impressionismo») e si è attratti da una tela sullo sfondo, un interno povero ma con una dama elegante che porta un bambino in braccio. È di Domenico Induno e si intitola La visita alla nutrice (1863). «Un episodio non raro all’epoca, anche se le famiglie ricche conoscevano le condizioni in cui le balie in campagna potevano allevare i loro figli» osserva Giorgio Bigatti, storico dell’Economia alla «Bocconi» e qui nostro compagno di visita alla mostra per uno sguardo socio-economica dei dipinti.
Già, in molte di queste tele affiora la situazione reale del Paese post-unitario: un Nord che cresce e che sfida l’Europa (la centrale elettrica di via Santa Radegonda ha fatto storia), un analfabetismo che sfiora l’80% e, al tempo stesso, una produzione artistica molto fiorente, che esportavamo a Parigi e a Londra, in mancanza di un patrimonio industriale e tecnologico ancora omogeneo. Non a caso il quadro di Induno è commissionato da Francesco Turati, uno dei principali industriali tessili del secondo Ottocento italiano.
«Un filo di seta lungo e robusto — dice Bigatti — univa il Nord Italia al resto d’Europa, ma non solo. Guardi quel Segantini» dice indicando l’ Alpe di maggio , un olio che, proprio perché in mano a collezionisti privati, difficilmente si vede in qualche mostra. «La dura montagna che qui il pittore trasforma in poesia era una grande risorsa per le città, all’epoca via via più grandi. Intere generazioni di lavoratori si spostavano stagionalmente. I “bergamini”, i mandriani stagionali, erano una tradizione radicata. E tale economia ”a tempo” univa posti lontani. A Pegli sopravvive il culto di Santa Rosalia: tra Genova e Palermo c’erano intensi scambi di manodopera».
Più avanti, un largo dipinto con un mare limpido e alcune signorine che prendono il sole nude in mezzo a ragazzini poveri. «È del napoletano Eduardo Dalbono — spiega Francesco Luigi Maspes, uno dei curatori — ed è tra i frutti della collezione voluta dal famoso mercante Goupil». Ma come, ci si chiede, a quell’epoca il turismo non era prerogativa dei ricchi inglesi e tedeschi? «Certo — chiosa l’economista —. Al massimo di qualche facoltoso italiano. Questa deve essere una mitizzazione». Scavando si capisce come l’arte aveva all’epoca anche il compito di trasfigurare una realtà a tratti troppo dura: la coquetterie del dipinto si deve a una interpretazione libera (e forse a uso e consumo dei ricchi mercanti del Nord) delle Sirene: si intitola infatti Sirene Moderne .
Si sorride davanti a un quadro di Ettore Tito (a Venezia una ragazza ben vestita passa seguita da sguardi maschili senza sapere che la tela avrà per titolo La fa la modela ); ci si incanta davanti a una piccola Passeggiata mattutina di Giovanni Boldini, ma poi si viene attratti da una giovane ragazza colta nell’intimità dello scrivere una lettera. Certamente una di buona famiglia, perché, come dice Bigatti «all’epoca l’istruzione era per pochi. Però anche qui c’erano due facce. C’era la Lombardia delle grandi case editrici, come Sonzogno, che attirava intellettuali da tutta Europa e c’erano le zone poverissime. Città come Napoli, inoltre, erano colte e floride».
Se si esce e si approfitta per visitare le Gallerie Maspes con la mostra Pittura lombarda dell’800. Da Faruffini a Morbelli , non si perda il bellissimo Distendendo panni al sole di Morbelli. Mentre di fronte, da Bottegantica, la rassegna Dalla Scapigliatura al Divisionismo rende omaggio a Emilio Longoni (1859-1932), l’artista che voleva diventare famoso come Segantini ma non ci riuscì. Il dipinto qui esposto, La voce del ruscello , ha uno sfondo blu fatto con lapislazzuli triturati: pur essendo povero, Longoni nell’arte ci credeva e si indebitò per trovare il materiale. Anche questo è stato l’Ottocento italiano.

rscorranese@corriere.it