di Mario Monti
L’accordo raggiunto a Bruxelles ha mostrato la capacità di decisione dell’Unione Europea benché le sue regole di governance, in particolare l’unanimità degli Stati membri per approvare il bilancio, sembrino costruite più per garantire i Paesi piccoli che per consentire la gestione rapida ed efficace di quella che altrimenti sarebbe una grande potenza globale.
I l fatto stesso che all’accordo si sia arrivati e che il suo contenuto sia di stampo marcatamente solidaristico dimostra l’inconsistenza di due pilastri del castello delle streghe descritto dai narratori sovranisti: il ruolo della Germania e le austere flagellazioni che essa predilige. Senza la leadership della cancelliera Merkel e il ritrovato asse franco-tedesco — un diavolo bicefalo, per i sovranisti italiani — l’accordo non ci sarebbe proprio stato. E senza l’iniziativa e il denaro in particolare della Germania, non ci sarebbe stato il Recovery Fund, che non è tanto diverso dal sempre invocato Piano Marshall.
Già, il Piano Marshall. Perché ebbe grandi effetti positivi sulle economie europee? Certo, per i fondi generosamente messi a disposizione dagli Stati Uniti. Ma anche, se non soprattutto, perché con il denaro l’America chiese ai Paesi europei di fare due cose: aprirsi, integrarsi tra loro; e ricostruire le rispettive economie non come erano prima delle distruzioni belliche, ma secondo determinati criteri di razionalità economica (in fondo, le «riforme strutturali» di oggi). Per aiutarli in questo, crearono l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), che tuttora fa un ottimo lavoro, come la Commissione europea, per indirizzare le nostre riforme.
Nostre? Certo. Anche oggi tutti i Paesi europei devono rinnovare le proprie strutture economiche e sociali, soprattutto dopo la pandemia. Ma anche l’Italia? Sì, l’Italia per prima. L’Italia sarà il maggiore beneficiario dei fondi del Piano Marshall europeo, voluto dalla «perfida» Merkel. Ed è anche il Paese europeo che più si è specializzato, in questi ultimi anni, nel trasferire redditi, non nel produrre reddito. Se il nostro Pil è messo molto peggio di quello dei nostri partner, è perché sentiamo, doverosamente, un’esigenza di giustizia sociale ma non vogliamo realizzarla, come fanno Paesi e popoli meno originali, stimolando la concorrenza e la produzione e colpendo duramente l’evasione fiscale (queste azioni farebbero perdere voti) bensì provvedendo in via diretta con trasferimenti dallo Stato ai cittadini (azioni che invece, si ritiene, producono voti).
Il primo ministro olandese Rutte ha alcuni tratti irritanti. Ma sarebbe bene che in Italia non arrivassimo ora a ritenere l’aggettivo «frugale» un insulto. E che facessimo nostra la diffusa perplessità — molto antipatica, quando viene dai nordici — circa la sostenibilità di un’economia, e di una società, che si appoggiano sui trasferimenti. È essenziale che il nostro Paese dia segni concreti e rapidi di avere volontà e capacità di realizzare seriamente ciò che giova alla nostra economia e che la Ue ci chiede di fare, perché siamo un pezzo importante dell’Europa.
Non dobbiamo illuderci che il «superfreno» che il solito Rutte avrebbe voluto (la possibilità per un singolo Paese di far bloccare le erogazioni sul Recovery Fund a Paesi che non rispettino le condizioni pattuite), non adottato dal Consiglio europeo, sia uscito di scena. Il bilancio della Ue 2021-2027 e il Recovery Fund, per dispiegare i loro effetti, richiedono che la decisione sulle nuove risorse proprie venga ratificata da tutti gli Stati membri, come se fosse una modifica del Trattato (e magari qualche Paese penserà di ricorrere ad un referendum…). Comunque, tanto per dirne una, quella decisione sulle risorse proprie dovrà essere approvata dal Parlamento olandese. Non vorremo, spero, offrire ai parlamentari olandesi l’occasione ghiotta di dimostrare che loro, sì, sanno essere intransigenti verso Paesi che non mettono in ordine la loro economia, non come quel mollacchione di Rutte… Basterebbe il no di un Parlamento. Niente risorse proprie. Niente possibilità per la Ue di indebitarsi nel mercato. Niente bilancio settennale. Niente Recovery Fund. Che comportino o no forme esplicite di condizionalità, gli aiuti di altri mettono comunque in posizione subalterna.
D’altronde, noi italiani dovremmo averlo nel sangue. Fu proprio il primo «italiano» ad ammonirci, già qualche tempo fa: «Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e’l salir per l’altrui scale».