La lettera
di Silvio Berlusconi
Caro direttore, il Capo dello Stato, nel discorso rivolto agli italiani per il 2 giugno, ha fatto riferimento a «qualcosa che viene prima della politica e segna il suo limite (…) l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro». Come sempre, il Presidente Mattarella ha saputo trovare le parole giuste.
Del resto già nei giorni scorsi anche il governatore della Banca d’Italia, nelle sue «considerazioni finali» aveva rivolto un appello importante: la fiducia e la speranza nella ripresa dell’Italia, che vengono espresse da tante parti, non possono essere un semplice esercizio retorico, una mera dichiarazione di ottimismo. Esse comportano invece un’assunzione di responsabilità da parte di tutti i soggetti che svolgono un ruolo pubblico, dal mondo dell’impresa e della finanza alle istituzioni, alla società civile.
«Serve — ha detto Visco — un nuovo rapporto tra governo, imprese dell’economia reale e della finanza, istituzioni, società civile; possiamo non chiamarlo, come pure è stato suggerito, bisogno di un nuovo “contratto sociale”, ma anche in questa prospettiva serve procedere ad un confronto ordinato e dar vita ad un dialogo costruttivo».
Serve, cioè, un grande scatto, come quello che consentì all’Italia di risollevarsi nel Dopoguerra, di passare in 10 anni dalla condizione di Paese sconfitto e distrutto, a quella di potenza industriale fra i fondatori dell’Europa unita.
Oggi come allora, questa assunzione di responsabilità, in un «dialogo costruttivo», riguarda tutte le forze vive del Paese. Il Paese deve essere unito, mettere insieme le migliori energie per sedersi intorno a un tavolo e costruire un progetto comune che guardi al futuro, alla rinascita. Proprio quell’impegno comune per un nuovo inizio che ha sollecitato ieri il Capo dello Stato.
Noi ci siamo, come sempre quando è in gioco l’interesse nazionale, il futuro di questo Paese. Mettiamo a disposizione la nostra cultura di governo e di impresa, la nostra esperienza, la nostra competenza, virtù queste troppo sottovalutate in politica negli ultimi anni e che oggi si dimostrano assolutamente necessarie nell’emergenza sanitaria ed economica.
Sono lieto che anche il segretario del Partito Democratico si sia detto disponibile a questo sforzo comune. Uno sforzo — dobbiamo essere molto chiari dal principio — che non ha nulla a che fare con le maggioranze di governo, con gli schieramenti, con le alleanze politiche.
Noi siamo e rimarremo orgogliosamente all’opposizione di un governo con il quale siamo incompatibili e che non smettiamo di considerare inadeguato. Del resto, leggere in chiave di tattica politica le esigenze poste dal Presidente della Repubblica e dal governatore di Bankitalia significherebbe banalizzarle e svilirne la portata.
L’intera classe dirigente del Paese, il mondo dell’impresa, delle banche, dell’università, della cultura, oggi dovrebbe sentirsi partecipe di uno sforzo solidale. Si tratta di scrivere un grande piano per la ricostruzione utilizzando al meglio le risorse che l’Europa ci permette di utilizzare. Sono risorse, dal Recovery Fund al Mes, per le quali mi sono battuto personalmente, con i colleghi leader europei del Ppe, affinché fossero rilevanti e venissero rese disponibili per l’Italia.
La politica — maggioranza e opposizione — deve accompagnare e sostenere questo sforzo corale. Guai se oggi quegli aiuti venissero dispersi in mille rivoli, per alimentare una spesa settoriale — o addirittura clientelare — alla ricerca di consenso e non per mettere il mercato in condizione di tornare a funzionare.
Si tratta invece di investire sulle infrastrutture, sulla ricerca, sull’innovazione, sulla formazione — ne abbiamo parlato di recente proprio su queste colonne — incentivando nell’ambito della logica di mercato i comportamenti virtuosi.
C’è bisogno di formule politiche pasticciate per fare tutto questo? Lo ripeto per chiarezza, assolutamente no. Del resto la ricostruzione post-bellica non è avvenuta certo in un quadro di unità politica nazionale. C’è bisogno invece che ognuno faccia la sua parte, rinunciando alle tattiche, alla ricerca del consenso immediato, alle polemiche utili solo a motivare le opposte tifoserie. È questo il clima che io ho invocato tante volte, quando eravamo al governo. Se oggi ci fossero davvero le condizioni perché si realizzi, non dovremmo lasciarci sfuggire l’occasione, anche perché potrebbe essere davvero l’ultima opportunità.
I rischi per la tenuta sociale e civile del Paese, è inutile negarlo, sono molto alti. Gli italiani vogliono ripartire, ma tanti di loro non sono in condizione di farlo. Tanti non hanno ricevuto gli aiuti promessi, tante aziende rischiano di chiudere, tanti posti di lavoro di saltare.
Proprio per questo occorre un supplemento di responsabilità ma anche di iniziativa di coraggio riformatore, di qualità nel governo della cosa pubblica. Non possiamo lasciar soli gli italiani, lavoratori e imprese, che combattono per non soccombere alla recessione incalzante. Si tratta del futuro dell’Italia, dell’avvenire dei nostri figli. Solo così potremo dare forza e sostanza alle parole con cui il governatore della Banca d’Italia ha concluso le sue «considerazioni finali», che faccio mie: «Nessuno deve perdere la speranza. Insieme ce la faremo».