Ora arriva Babbo Natale: soldi nostri per le banche.

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ROTTI GLI INDUGI, TESORO E BANKITALIA CONFERMANO: LAVORIAMO PER CREARE UNA BAD BANK CHE LIBERI GLI ISTITUTI ITALIANI DALLE SOFFERENZE (180 MILIARDI)
di Marco Franchi

Tutti pazzi per la bad bank. Più che cattiva, una banca “spazzina”, creata per fare pulizia nei bilanci di altri istituti acquistandone una parte dei prestiti difficili o impossibili da recuperare. Lo scorso 25 gennaio, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha confermato in un’intervista a Repubblica che il governo sta “esaminando varie opzioni, anche tenendo conto delle implicazioni sulle regole europee sugli aiuti di Stato” e riflettendo in che modo “introdurre degli strumenti che vanno sotto il nome generico di bad bank”.    IN REALTÀ del progetto si parla già da due anni e a rilanciarlo, nell’autunno del 2013, era stato anche l’ex premier Romano Prodi proponendo una sorta di Cassa Depositi e Prestiti finalizzata al credito alle imprese. Una soluzione che però era rimasta lettera morta sia per le resistenze del Tesoro, sia per quelle delle singole banche: nessuno voleva fare il primo passo comunicando al mercato di avere un problema. La stessa Banca d’Italia guidata da Ignazio Visco non voleva ripetere l’esperienza del Banco di Napoli che, prima di essere acquistato dal Sanpaolo Imi, trasferì i crediti in sofferenza a una società apposita, dando le azioni in pegno al Tesoro e affidando appunto la vigilanza all’istituto centrale guidato da Ignazio Visco. Poi con il passare dei mesi la situazione si è aggravata. Le sofferenze, ovvero i prestiti a rischio, a fine 2014 hanno raggiunto la cifra record di 180 miliardi di euro, contro i 125 del dicembre 2012.    Ed ecco rispuntare la bad bank di sistema. Ieri il Messaggero ha scritto che il progetto messo a punto da Bankitalia e governo, tenendo informata la Bce, è praticamente pronto. Il quotidiano romano anticipa anche i dettagli del documento “Nuovo credito per la crescita”, soggetto ancora a possibili limature, che l’Italia si appresta a mandare al vaglio dell’Unione europea. Il veicolo dell’intera manovra sarebbe Sga, società di gestione dell’attivo nata nel 1997 per salvare il banco di Napoli (quindi Visco ha cambiato idea), che il Tesoro acquisterebbe da Intesa Sanpaolo per 600mila euro.    TRAMITE uno o più aumenti di capitale che verrebbero sottoscritti dalle banche, dallo Stato, da Cdp, da Bankitalia e da eventuali investitori privati, la nuova Sga arriverebbe a un capitale da 3 miliardi, spiega Il Messaggero. Potrebbe così finanziare l’acquisto delle sofferenze verso le imprese superiori a una soglia minima di valore nominale di 500mila euro, anche emettendo titoli obbligazionari assistiti da garanzia statale, da collocare sul mercato.    Per quanto riguarda l’assetto proprietario, due sono gli scenari ipotizzati secondo la bozza: nel primo la partecipazione pubblica si fermerebbe al 49%, mentre le banche deterrebbero il 19% e il 32% andrebbe agli investitori privati. Uno schema che escluderebbe la ricaduta delle passività del veicolo nel perimetro del debito pubblico. L’altra opzione invece vedrebbe la partecipazione pubblica all’81% mentre il restante 19% andrebbe alle banche, escludendo la partecipazione di investitori privati. Il soggetto però ricadrebbe nel perimetro del debito pubblico.    In mattinata, però, è arrivata la replica del ministero. Il portavoce ha infatti puntualizzato alle agenzie che “il Tesoro è al lavoro su diverse ipotesi per aiutare le banche a liberarsi dei crediti incagliati che appesantiscono i bilanci e riducono la possibilità di impieghi, ma le indiscrezioni apparse su alcuni organi di stampa non corrispondono allo stato più recente delle analisi”. Insomma, il dossier sul “Nuovo credito per la crescita” è solo una delle ipotesi in esame e comunque non la più recente.    DI CERTO, le esitazioni degli anni passati sembrano ormai superate perché in gioco c’è la capacità del sistema bancario di sostenere l’economia attraverso la forte ripresa dei prestiti alle imprese (considerando anche che le banche italiane prima o poi dovranno tornare a finanziarsi senza l’aiuto della Bce). Resta però da capire se e come alla fine i soldi dello Stato – ovvero dei contribuenti italiani – verranno usati come garanzia.    Anche perché ci sarà da risolvere il problema delle normative europee in materia di aiuti di Stato, che impongono a azionisti e creditori una svalutazione in presenza di un sostegno pubblico. Norme volute dalla Ger