E se il water d’oro esposto in Inghilterra l’avesse rubato lui? Storia di un ex artista geniale che ha ormai smesso di stupire
di Francesco Bonami
L’arte come la politica quando si affida eccessivamente alla provocazione e allo scandalo diventa prevedibile, scontata e quindi banale. È il caso di Maurizio Cattelan, un artista che anticipava o stravolgeva la cronaca e che adesso la segue copiandola. Non sorprende né fa scandalo che il suo famoso gabinetto d’oro massiccio sia stato installato nel bagno dove un tempo la faceva Churchill, al Blenheim Palace, a un’ora e mezzo da Londra dove Cattelan ha celebrato il suo ritorno nel mondo dell’arte con una grande mostra (aperta fino al 27 ottobre). Non fa scandalo anzi era praticamente scontato che il cesso d’oro dovesse essere rubato. Che il furto sia vero o un’ennesima messa in scena dell’artista poco importa. D’altronde il furto come opera d’arte Cattelan l’aveva già tentato nel 1996 per una mostra ad Amsterdam, ma fu beccato dalla polizia e costretto a rendere la refurtiva che consisteva nella mostra di un suo collega in una galleria vicino al museo che aveva invitato Cattelan. Al tempo fu un gesto geniale, oggi è una cosa banale finta o vera che sia.
Quando l’arte diventa banale diventa inutile e, diventando inutile, finisce di essere arte, trasformandosi in arredamento culturale. L’arte deve sorprendere, ma se, andando a vedere il lavoro di un artista, già ci chiediamo «chissà questa volta come ci sorprenderà » il gioco è finito. Cattelan ha giocato all’arte benissimo quando come Maradona all’improvviso tirava fuori la magia. Poteva essere una sorpresa, uno scandalo, una provocazione, poco importava. Quando ci riusciva, lo spettatore andava in estasi. Con le sue prodezze e la sua classe è entrato nella storia dell’arte e per questo ci rimarrà. Non per il cesso d’oro. Non per il cesso d’oro rubato. Non per il bagno di Churchill allagato in tempo di Brexit. Non per la bandiera della Gran Bretagna stesa a mo’ di tappeto rosso in mezzo all’immenso cortile di Blenheim Palace in modo che la gente ci cammini sopra. Ci sono già i politici inglesi a stropicciare l’onore e la dignità della propria nazione. Non c’è bisogno che Cattelan inviti la tribù dell’arte a pulirsi le scarpe sulla Union Jack perché si possa ridere o piangere per la caotica, imbarazzante, crisi inglese. Stare troppo attaccati alla ruota della Storia è per un artista molto difficile: ci sono riusciti in pochi. David con La morte di Marat . Gericault con La zattera della Medusa .
Picasso con Guernica . Altrimenti bisogna aspettare e guardare la Storia da una certa distanza. Richter per dipingere il ciclo di quadri sulla banda Baader Meinhof ha aspettato dieci anni e lo stesso Cattelan con il suo Him , l’Hitler ristretto, più di sessant’anni. Quando la Storia diventa solo cornice e non contenuto per l’opera d’arte è un problema.
È il caso del Blenheim Palace e le opere di Maurizio Cattelan, la maggior parte storiche, conosciutissime e fortissime, poche altre nuove, deboli e destinate ad essere sconosciutissime. Come la piccola Cappella Sistina tutta dipinta a mano dove si può entrare sentendosi dei giganti. Era già stata presentata a Shanghai, in una mostra sulla copia curata da Cattelan per Gucci, The Artist is Present , titolo copiato, appunto, dalla famosa performance di Marina Abramovic. Ma a Rimini c’è già il parco dell’Italia in miniatura più divertente e più vicino di Shanghai e dell’Oxfordshire. Un tempo Cattelan riusciva con nulla a fare molto rumore oggi fa molto rumore per nulla. Il nulla del Cattelan doc era intenso, pieno, profondo, eccezionale e rivoluzionario. Nel frastuono del Neo Cattelanesimo non si sente più niente. Maurizio Cattelan aveva sempre resistito alla tentazione di mostre retrospettive. Quella al Guggenheim Museum di New York, nel 2011, con cui aveva finto di concludere la sua carriera con un prepensionamento precoce, non era una retrospettiva, ma una fantastica opera d’arte totale. Poi le sirene del presenzialismo, della visibilità e della cronaca hanno trascinato questo artista su una crosta ghiacciata pericolosamente sottile e scivolosa che adesso si sta aprendo sotto i suoi piedi rischiando d’inghiottirlo. Questa retrospettiva inglese è un crepaccio molto pericoloso. Ma forse anche un’opportunità per l’artista non di inscenare un altro improbabile ritiro, ma di cogliere l’occasione per fermarsi un attimo o due per riflettere, rintracciando le sorgenti della sua creatività, quelle che lo hanno reso il più importante e conosciuto artista italiano al mondo dai tempi di Caravaggio. Sarebbe un peccato, rimanendo in tema di pensioni, vedere sprecati tutti i contributi versati da Cattelan al mondo dell’arte durante i suoi anni migliori. Il titolo della mostra è Victory is not an option, la vittoria non è un’opzione, che suona come una frase che avrebbe potuto dire Winston Churchill, ma non l’ha detta. Ha detto però: «Il successo non è finale, il fallimento non è fatale. Quello che conta è il coraggio per continuare».