Non avere più veli né paura.

 

Quel gesto in iran: una donna sola, in piedi davanti al proprio Paese, regge un bastone sulla cui cima sventola il velo bianco che dovrebbe portare in testa. Il regime: «Sedizione finita».
 

Ci vuole un grande coraggio per esporsi così davanti al proprio paese ammutolito, ai propri governanti che urlano alle provocazioni straniere, di fronte alle bande dei pasdaran pronti a punire e colpire. Una donna sola, in piedi sopra un banco , regge un bastone alla cui cima è legato il velo bianco che dovrebbe portare in testa. Potrebbe sembrare quasi una resa: la bandiera bianca simbolicamente chiede pietà. Ma guardando la testa nuda della ragazza si capisce che non si tratta di resa ma di un gesto che dice tutto pur non usando una parola. Quella testa sobria, umile, determinata, non grida slogan, non fa gesti di rivolta. Sembra addirittura che si immoli in silenzio per un bene che va al di là di ogni ideologia, di ogni legge, di ogni credo religioso. Quel corpo sobrio, vestito di una tuta scura, dice soltanto: basta! E lo dice con una tale eloquenza che immediatamente è diventata una bandiera. Quasi contro la sua volontà, si è trasformata in una immagine virale all’interno della rete internazionale. Io so che mi colpirete, sembra dire quella ragazza severa e folle, bellissima nella sua sincerità essenziale, io so che mi metterete in prigione e forse mi torturerete. Potreste anche condannarmi a morte ma io sono qua, non mi muovo, ed espongo il velo, la sola proprietà di cui dispongo, che è nello stesso tempo il segno della mia identità di genere e della mia soggezione, per farvi capire che non ne posso più. Non ne posso piu della disoccupazione, della corruzione, della mancanza di prospettive per il futuro, ma anche del mio stato di sudditanza come studentessa e come donna, delle vostre prepotenze, della vostra arroganza, della vostra pretesa di rappresentare un Dio severo e potente, ma privo di umanità e di comprensione.
A volte una immagine può colpire più di una spada, più di un fucile. Ricordo la fotografia della bambina nuda che scappa dal suo villaggio bombardato in Vietnam, ricordo la figura dello studente cinese che ferma la fila dei carri armati con la sola presenza del suo corpo inerme e solitario. La sfida non sta nella persona ritratta, che si capisce benissimo, agisce per un istinto vitale, fuori da ogni ideologia, da ogni progetto politico, ma come il Cristo che porta la sua croce dinnanzi al popolo che lo insulta, racconta una lunga storia di subalternità, di umiliazioni, di sospetti.

Conosco l’Iran e il suo popolo che è orgoglioso e paziente. Ha creduto che la religione potesse liberarlo da una monarchia corrotta, ed è finita come si suol dire, dalla padella nella brace. Il totalitarismo religioso tende a cancellare ogni libertà e ogni autonomia. Come tutti i totalitarismi, si rafforza solo per mantenersi in vita, allontanandosi sempre di piu dal bene pubblico. E naturalmente chi legifera in nome di Dio, dispone di un’arma micidiale: qualsiasi protesta viene denunciata come eresia e l’eretico è un nemico, non solo di chi sta in cielo ma anche di chi in terra lo rappresenta. Uno Stato che governa in nome di Dio è molto piu cieco e spudorato di uno Stato che governa in nome di un re o di un regime militare. Dio non perdona. Soprattutto un Dio antico che considera ancora la giustizia come un atto di vendetta personale.
È importantissimo in questo momento che si levino voci internazionali per difendere la sua muta e coraggiosa iniziativa. Contrariamente a quello che sostengono i relativisti, il velo non è solo una consuetudine religiosa, ma uno strumento di soggezione politica e culturale.

Importantissimo scrivere, in tanti, protestando contro la pena di morte che grava minacciosa sulla testa di questi ragazzi, contro le prigioni politiche, contro l’obbligo di portare il velo, contro la tortura, contro la libertà di dissenso.

Corriere della Sera.
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